Ancora, l’album con la canzone perfetta

22 Gennaio 2021 di Paolo Morati

Quella di Eduardo De Crescenzo è una delle voci più importanti del panorama italiano. Musicista di razza e interprete vero, festeggia nel 2021 i 40 anni dal sorprendente esordio a Sanremo con Ancora. Canzone firmata Franco Migliacci e Claudio Mattone come tutto l’omonimo album che la conteneva, e diventata un classico insuperato quando si tratta di cantare il distacco.

Ed è proprio di quel disco che vogliamo parlare oggi, fin dall’apertura clamorosa con due brani che rappresentano gli altrettanti volti di quello che De Crescenzo sarà poi in grado di fare nel corso della sua carriera. Una scarica di ritmo, Al piano bar di Susy, (“Al piano bar c’è la Susy che sa, lei ti guarda dentro gli occhi e ti dà la luna in un bicchiere”) e passione, Quando l’amore se ne va (“Quando l’amore se ne va, non lo rincorrere, sarebbe inutile. Non vede, non sente, cuore non ha”). Non da meno è la terza traccia Alle sei di sera (“Alle sei di sera, scioglie i seni la cassiera, mentre il ragioniere sbaglia i conti con l’amore. Smonta il mendicante, si sputtana tutti i soldi con l’amante”), con quel basso che batte e ribatte, e poi di improvviso torna la calma in Uomini semplici (“Non c’è amore senza una canzone, e non c’è vita senza un’emozione. Che ognuno al mondo scrive la sua storia, dove c’è gloria per ogni eroe”), ripresa anche in chiusura.

Dopo l’inizio folgorante, l’album perde leggermente il passo in Doppia vita (“Vita improvvisata, non autorizzata, inventata, vita tormentata”), quasi a volere lasciare timidamente spazio alla canzone perfetta, Ancora, con quel celebre incipit “È notte alta e sono sveglio” diventato nel tempo televisivamente celebre e il crescendo drammatico che, ci perdonino i fanatici delle cover compresa quella di Mina, resterà fino ad oggi ineguagliato nelle corde vocali del cantante napoletano. Un po’ come avviene per Almeno tu nell’universo e Mia Martini, per intenderci. Riparte il ritmo con Il treno, e le storie che questo ha intorno (“Materassi di cartone ci respinge la città e chi torna indietro muore di vergogna”). Chitarra mia riprende le pene sentimentali già al centro di altri racconti di questo disco, questa volta in un dialogo con la sei corde “E suona mia chitarra tu che dici tornerà?”, fino alla più canonica Padre (“Non ti stancare più adesso tocca a me”).

Riascoltato oggi, Ancora (bellissima la foto di copertina, fra l’altro) appare un disco senza tempo, lasciato troppo in disparte rispetto a quel singolo fondamentale, forte non solo di canzoni scritte e suonate come si deve, ma anche interpretate in modo magistrale. Il punto da cui partire per conoscere De Crescenzo, con l’invito però di immergersi anche nel resto del suo repertorio.

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