Alfredo Biondi e i liberali di una volta

25 Giugno 2020 di Indiscreto

Alfredo Biondi è stato un protagonista nella Prima e anche nella Seconda Repubblica: la sua prima legislatura da deputato del PLI, Partito Liberale Italiano, iniziò nel 1968, l’ultima da senatore di Forza Italia si è conclusa nel 2008. Ministro in governi presieduti da Fanfani, Craxi e Berlusconi, l’avvocato Biondi era per molti aspetti l’archetipo del liberale italiano: borghese, orgogliosamente minoritario, garantista, con il gusto della provocazione intellettuale (nel suo caso anche calcistica, da tifosissimo del Genoa, che anche difese in più occasioni).

La sua morte, avvenuta a 92 anni, ci consente di ricordare l’epopea dei liberali italiani, finita con la Prima Repubblica: non solo per Tangentopoli, ma soprattutto perché dagli anni Novanta in poi quasi tutti si sono autodefiniti liberali, anche i peggiori statalisti e manettari. Tutti liberali uguale nessun liberale: anche perché i voti veri si prendono da persone, di destra o di sinistra, lontanissime da questa cultura (anche da qualsiasi cultura, ci permettiamo di aggiungere visto che non siamo a caccia di consensi) e alla ricerca di uomo, un partito, un’ideologia, un movimento che li faccia sentire protetti. Gli ultimi mesi hanno del resto dimostrato che basta un virus perché la maggioranza rinunci volontariamente alle libertà più banali.

Il PLI, fondato nel 1922, fu messo fuorilegge dal fascismo nel 1925 e sarebbe rinato come partito quasi vent’anni dopo, con Luigi Einaudi e Benedetto Croce. A seconda dei segretari, nel dopoguerra ha flirtato con la Democrazia Cristiana o con la sinistra, ma per questioni che oggi ci appaiono sfumature. Da ricordare che da una scissione fra i liberali nacque nel 1955 il Partito Radicale. Di sicuro non è mai stato un partito di massa e nemmeno con l’ambizione di esserlo, anche se con Giovanni Malagodi arrivò a valere il 7% dell’elettorato. In tempi più vicini a questi, con meno della metà dei consensi, fu solo una ruota di scorta del pentapartito, e quindi anche a noi che in un’occasione li abbiamo votati evocano ormai più Altissimo di Einaudi, più De Lorenzo di Croce. Comunque averne, di italiani come Alfredo Biondi.

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