Alan Parsons, dal telefono a muro all’iPhone

1 Aprile 2015 di Stefano Olivari

Poche persone possono dire di essere invecchiate bene, nella musica pochissime: Alan Parsons è una di queste e qualche giorno fa lo ha confermato al concerto milanese a cui siamo stati, con tutta la sua band di cui soltanto noi fan e Wikipedia possiamo tenere a mente tutti i cambiamenti nel corso di quattro decenni. Molto più facile ricordare gli album visto che al netto di raccolte, live, svuotamento di cassetti (The Sicilian Defence, uscito nel 2014, è tratto da materiale di fine anni Settanta) e paccottiglia varia l’ultimo vero è del 1987 (Gaudi). Va detto che dopo la separazione da Eric Woolfson, avvenuta nel 1990, sia Parsons che lo stesso Woolfson hanno pubblicato diversi dischi da solisti, ma di fatto gli Alan Parsons Project sono finiti con il loro litigio: Parsons voleva fare la rockstar, Woolfson l’autore-regista, in sostanza uno sognava i Pink Floyd e l’altro Andrew Lloyd Webber.

Il concerto, quindi, del gruppo che formalmente si chiama Alan Parsons Live Project. Preceduto da un bagarinaggio fuori dal Teatro Linear4 Ciak, con un merchandising piuttosto triste e gli immancabili napoletani (non è un modo di dire, erano davvero napoletani) che gridavano l’astuto ‘Compro!’ che secondo qualche avvocato dovrebbe metterli al riparo da azioni di una polizia comunque sempre inesistente in simili situazioni. Buon segno, comunque, così come la presenza di più fasce di età  e non solo di chi ha comprato Abbey Road o The Dark Side of the Moon appena usciti (Parsons nasce come ingegnere del suono dei Beatles, dei Pink Floyd e di tanti altri, mentre Woolfson era semplicemente un suo amico appassionato di musica). Repertorio ortodosso, come quasi sempre nei loro concerti fuori dall’Inghilterra, con grande spazio dato a The Turn of a Friendly Card. Parsons ha troneggiato dietro ai suoi sette compagni, mettendosi in evidenza solo per Eye in the Sky (in maniera anche autoironica, visto che delle hit da lui scritte è quella che detesta) e poche altre canzoni.

Lo stile live del gruppo è nel corso degli anni diventato molto più rock che alle origini ma nessuna canzone monumento è stata stravolta: da Don’t answer me a Time, da Old and wise a Prime Time, la messa è stata celebrata in maniera quasi perfetta, con le maggiori emozioni date al solito da Sirius (il pezzo strumentale che quando compreremo una squadra imporremmo durante la presentazione dei giocatori, copiando i Chicago Bulls jordaniani e tanti altri) e la commozione per il ricordo di Chris Rainbow, una delle voci storiche del gruppo (meno di Lenny Zakatek, ma più di tutti gli altri), morto poche settimane fa. Chiusura con le parole di Alan. Un 67enne che vive a Londra e gira il mondo, ma che riesce ancora a stupirsi per le caratteristiche di un popolo: “Non ho mai visto tanti iPhone tutti insieme!”. Una battuta apprezzata da chi come noi li ha ascoltati per la prima volta in una casa con il telefono a muro e il duplex.

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