Alain de Benoist e la verticalità del populismo

11 Aprile 2018 di Indiscreto

Destra e sinistra sono concetti superati? Secondo i risultati elettorali di alcuni paesi (Macron, Cinquestelle, Trump) e il parere di autorevoli filosofi sono categorie otto e novecentesche ormai utili soltanto a darsi un’identità, ma senza sbocchi futuri. Uno di questi filosofi, Alain de Benoist, scoperto grazie alla splendida rivista Diorama, è riuscito a scuoterci dal nostro torpore piccolo borghese, fra campionato e Champions League, ed è per questo che la scorsa settimana siamo andati ad ascoltarlo dal vivo alla Fondazione Feltrinelli, in un dibattito con Gad Lerner e Piero Ignazi, davanti a un pubblico numerosissimo. Un dibattito che a febbraio era saltato, perché un imprecisato ‘gruppo di studiosi delle destre’ non voleva che Feltrinelli desse spazio a De Benoist, ma che dopo le elezioni è miracolosamente diventato possibile oltre che frequentato da persone a occhio prevalentemente di sinistra.

Il settantaquattrenne De Benoist è famoso come filosofo di destra, fondatore della Nouvelle Droite, ma per molte ragioni è sempre stato detestato dalla destra tradizionale, sia in patria (Le Pen e dintorni) sia all’estero (il rifiuto dell’autoritarismo e delle operazioni nostalgia lo rendevano indigesto al gruppo dirigente dell’MSI), e quindi confinato in una nicchia senza nemmeno l’aura del maledetto. Anche una superficiale ricerca sul web può dare un’idea di vita e opere di De Benoist, noi ci limitiamo a dire che lui attualmente si definisce un “socialista conservatore orwelliano” e che è un sostenitore dell’Europa (certo non della burocrazia UE), vista come contesto ideale per la convivenza delle patrie esistenti e delle piccole patrie che inevitabilmente si formeranno. La Nouvelle Droite ha ovviamente ispirato la nostra Nuova Destra, il movimento di Marco Tarchi (non a caso a suo tempo espulso dall’MSI) anch’esso arrivato al superamento della dicotomia destra/sinistra ma in maniera più articolata: Tarchi sostiene che destra e sinistra siano atteggiamenti che dividono le persone per singoli temi, ma che raramente sintetizzano tutte le idee di una persona.

La facciamo breve: De Benoist sostiene che il cosiddetto Occidente stia tornando a una situazione pre Rivoluzione Francese, quindi a una divisione e contrapposizione verticale fra classi. Con le cosiddette élite che vengono sistematicamente punite dal cosiddetto populismo che, questa la novità degli ultimi anni, le vede come un qualcosa di unico e indistinto. È la fine, questa l’osservazione di Lerner e Ignazi, dalla contrapposizione orizzontale, di idee, fra due o più visioni del mondo. Il ‘cosa siamo’ che prende il posto del ‘cosa vogliamo’. De Benoist non ha smesso di essere culturalmente di destra (“La destra è coerente e differenze bioculturali fra le persone, mentre la sinistra ha la pretesa che siano uguali e con lo stesso sistema di valori”), ma ritiene che nel mondo di oggi sia un concetto superato e l’esempio di Macron lo dimostra: l’attuale presidente francese ha dichiaratamente preso da ogni parte idee, slogan, programmi e classe dirigente, mentre la Le Pen pur avendo capacità di mobilitare le masse alla fine si è ridotta a rimpiangere un vecchio mondo, lontano dalla realtà anche di molti suoi elettori. Ancora peggio va alla sinistra tradizionale, secondo De Benoist: oltre ad essere vecchia, come la destra, non è nemmeno più percepita come difensore dei deboli.

Grande studioso del populismo, da decenni, De Benoist ne è anche dichiaratamente tifoso: “Il populismo è uno stile, non un programma politico. Cinquestelle, Podemos e Syriza hanno pochissimo in comune, se non l’opposizione al liberismo e all’economia transnazionale. Le persone hanno paura di essere sostituibili, questo è il grande tema. E questa paura non so se sia di destra o di sinistra”. Le risposte di De Benoist ci sono sembrate deboli di fronte all’obiezione di Lerner (“Quindi lei dice che si deve recuperare Marx, ma solo per i nativi?”) e soprattutto per quanto riguarda l’aspetto propositivo. D’accordo, la democrazia è in crisi, ma come se ne esce? Qui il filosofo francese ha fatto un tortuoso discorso sul recupero di forme di democrazia diretta e dal basso, come base per una nuova convivenza. Un’Europa fatta di piccoli cantoni? Forse è davvero questa la direzione, basti pensare al dibattito sul ritorno delle città-stato, ma per il momento non riusciamo a scaldarci.

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