Medicina

Aborto alla trapanese

Stefano Olivari 21/06/2016

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Qualche giorno fa abbiamo letto che a Trapani non è più possibile praticare l’interruzione di gravidanza (o aborto, per essere più diretti) in una struttura pubblica perché è andato in pensione l’unico ginecologo laico dell’ospedale Sant’Antonio Abate e quelli ora operativi sono tutti obiettori. Obiettori rispetto a una facoltà prevista da una legge dello Stato e non del golf club locale, va ricordato. Non ci sembra di avere letto reazioni  di partiti o movimenti presunti liberali, a parte i comunicati di CGIL e UIL. La cosa ci ha ricordato un episodio di cui cui siamo stati testimoni, qualche settimana fa, all’ospedale San Paolo di Milano, dove i ginecologi non obiettori sono una netta minoranza ed erano quel giorno in malattia o in vacanza, così che le donne presentatesi per abortire non soltanto sono state rimbalzate, cosa già folle, ma anche trattate con il minimo storico di empatia. Non conosciamo i criteri di assunzione della sanità siciliana, anche se possiamo immaginarli, mentre siamo più preparati su quelli lombardi: in buona sostanza lottizzazione pura, con simpatizzanti di Comunione e Liberazione a fare la parte del leone non soltanto fra i medici ma anche fra i dirigenti e gli infermieri, rappresentanze significative ma minoritarie di vari partiti, più una minoranza di posti ‘liberi’ in situazioni ospedaliere poco ambite o esterne come quella del medico di famiglia. Non vogliamo aprire un dibattito sull’aborto, né affermare che i medici obiettori siano fuorilegge: purtroppo la legge prevede espressamente il diritto all’obiezione. Siccome i cattolici praticanti non sono in Italia più del 25% e l’abrogazione della legge fu bocciata nel 1981 con una maggioranza dell’88,42%, non si capisce però perché una minoranza di fanatici possa imporre il suo credo a una maggioranza secolarizzata e a una legge che ha salvato la vita a tante donne. Con nessuno nella maggioranza che sostiene che l’aborto sia una bella cosa, anzi si tratta quasi sempre di una tragedia personale e sociale: nel solo 2015 sono mancati all’appello, considerando anche le stime sugli aborti clandestini, circa 120.000 italiani.

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