Calcio
A termini di regolamento
di Stefano Olivari
Pubblicato il 2010-02-22
di Stefano Olivari
Il desiderio di Galliani, il ricordo di Cannavaro, la scarsezza di Leonardo e Del Neri.
1. Prima di distribuire patenti di onestà o di disonestà, bisogna pensare per almeno qualche secondo a che cosa rappresenti il calcio non solo in Italia. Scontato oppio dei popoli ma anche mezzo di identificazione e strumento di potere, in cui la vittoria dipende da un misto di bravura sportiva, fortuna, potere, ricchezza, furbizia, potenziale di ricatto politico o sociale. Facciamola breve: nemmeno la Juventus di Moggi, che aveva tutti questi ingredienti (e alla fine, paradossalmente, la bravura sportiva più di tutto il resto), ha vinto più di due scudetti consecutivi. Nei tempi moderni sono al massimo riuscite a raddoppiare la Juve dei tutti nazionali nell’autarchico calcio dei Settanta e l’Inter di Moratti padre. Facendo gli Sconcerti dei poveri, si può dire che nell’era televisiva solo il Milan di Capello e l’Inter di Mancini-Mourinho siano riuscite ad avere un ciclo più lungo, sfruttando anche nei primi anni del ciclo un abisso tecnico con una concorrenza che in disarmo o che stava costruendo per il futuro. Cosa vogliamo dire? Senza che ci sia bisogno di complotti, tutto il mondo del calcio (eccetto ovviamente quello interista, e nemmeno per intero) che conta vuole che questo ciclo nerazzurro finisca e questo desiderio di ‘campionato riaperto per il bene dei media’ è stato ben rappresentato da Galliani. Dove sta il male?
2. Luciano Moggi maledice ancora oggi il fallo di confusione che portò all’annullamento del gol di Cannavaro (ai tempi al Parma, arbitrava l’artista De Santis) in Parma-Juventus 1999-2000, che creò un clima propedeutico allo scandaloso pomeriggio di Perugia che sfilò alla Juventus quello scudetto. Per questo il delitto perfetto non è inventarsi rigori o situazioni strampalate, con buona pace dei moviolisti, ma applicare alla lettera il regolamento o al massimo concedere qualche punizione in più sulla tre quarti. Si può dire che contro la Sampdoria Samuel e Cordoba non andassero espulsi, a termini di regolamento? No. Poi c’è la realtà, che mai ha portato sotto gli occhi i due centrali difensivi della squadra di casa, dalla A all’Eccellenza, cacciati a metà a metà primo tempo. Non è un caso che i due difensori abbiano ricevuto la squalifica minima, da regolamento: una giornata a testa. Non è un caso che Cambiasso e Muntari ne abbiano ricevute due, per situazioni difficilmente verificabili: un parapiglia nel sottopassaggio e qualche parola a venti metri dall’arbitro non si sa in quale lingua. Non è un caso che Mourinho ne abbia ricevute tre per il gesto delle manette, quando su ogni panchina si vede di peggio (anche la bestemmia, tornata di gran moda). Poi le sanzioni pecuniarie, per insulti del pubblico a Tagliavento e l’ingresso in campo con 5 minuti di ritardo nella ripresa (con questo metro la Roma sarebbe senza soldi in cassa). Un po’ di giustizia e molto livore anche per il colpaccio non riuscito totalmente. Ripetiamo: non è strano che Rosetti venga designato per Fiorentina-Milan o che i rivali dell’Inter vogliano la sua caduta, è strano che se ne sia accorto (e non da oggi pomeriggio) solo Mourinho.
3. Parlando di calcio, il derby milanese e Inter-Sampdoria hanno dimostrato che fra allenatori di cilindrata simile (Lippi contro Capello, per dire) la differenza la fanno solo gli episodi e scelte che a posteriori diventano ‘intuizioni’, mentre fra tecnici di cilindrate diverse a volte il confronto è imbarazzante. I quattro uomini del Milan in linea a curare Milito per tre quarti d’ora e la Sampdoria rintanata per un’ora con due giocatori in più a fare cross dalla tre quarti possono essere un buon complimento al Mourinho da campo, nelle due occasioni sembrato gigante contro i pigmei. Non certo per il carattere trasmesso ai suoi, il carattere ce l’hanno anche Cosmi e Mazzone, ma per l’ordine da esercitazione difensiva (si fanno quasi sempre in inferiorità numerica) con cui ha gestito due situazioni che per altri sarebbero state drammatiche. Favorito dalla pochezza dei due colleghi avversari, ma comunque bravo. La teoria che stia forzando i toni per farsi cacciare a fine stagione, in funzione ‘politica’ e di quieto vivere, non è strampalata, ma Moratti si ricordi che con qualunque altro allenatore quelle due partite le avrebbe straperse. Ipotizzare complotti è quindi superfluo: in uno sport che non è uno sport, dove conta solo il risultato e senza alcun aspetto etico (anzi, chi perde viene anche sbeffeggiato), non si può pensare di vincere in scioltezza in mezzo alle ovazioni degli avversari. Vittime o carnefici: non è sport, ma è calcio.
stefano@indiscreto.it