A scuola da Djordjevic
Il punto sulla pallacanestro italiana dopo lo scudetto vinto dalla Virtus Bologna allenata da Sasha Djordjevic
12 Giugno 2021
di Oscar Eleni
Oscar Eleni dal campo Giuriati di Milano per una staffetta verso l’Arena accompagnato dalle voci che parlano ancora ai credenti di un’atletica creativa di rinnovamento, pensando a Paola Pigni che ci correrebbe dietro se piangessimo per la chiodata che le ha dato il destino nel giorno dove sembrava tutto confuso nella prematura epopea del calcio, dove ritrovare certe facce, rivedere certe scene, ascoltare l’iperbole vagante dei cantori, faceva venire nausea e nostalgia per maschere di ferro. Seguendo il consiglio del mio grande direttore Zanetti alla Gazzetta abbiamo riscoperto questo ponte tibetano che nella professione ha diviso l’affetto per il basket e la passione per l’atletica. Da Roma il messaggio di Sandro Aquari per l’addio alla nostra esploratrice del mondo oltre la siepe delle banalità, accompagnato dal sublime ritratto di Vanni Loriga; da Bologna il canto libero del popolo virtussino che ritrovava lo scudetto del basket dopo 20 anni. Momenti differenti di una notte senza sonno.
Le voci di un’atletica che non riusciranno mai a farci dimenticare. Loro ci parlano ancora e li abbiamo sentiti mentre preparavano una stanza regale per Paola Pigni, soprano del grande sport come la madre catalana. Certo ci sarà stata confusione con Nebiolo che insultava Cremascoli per non aver cercato i fiori giusti, poi Alfredo Berra che in Gazzetta usava il terrazzo della “redazione varie” per le confessioni. La Pigni che si lamentava e poi abbracciava Arcelli, un geniale medico che sapeva cercare nel cuore della vera atletica, dietro il Bresciani tonante, davanti il professor Cacchi che alla fine delle grandi esplorazioni scoprì che ci si poteva innamorare anche di una che allenandosi con i maschietti li faceva cadere svenuti ai margini dei sentieri. Sport Club Italia, Giuliano Dalmata e alla fine la SNIA. Ecco sulla porta del nuovo palazzo di Paola il Giani che si era fatto spiegare da Mastropasqua come accendere tutte le luci della Notturna . Loro ci parlano ancora e dovrebbero essere ascoltati da chi non capirebbe mai un Quercetani o un Bonomelli, figurarsi Massara, dai negazionisti dell’Annuario. La Pigni che in Gazzetta nel 1966 aveva aiutato la redazione traducendo quello che riferivano da Brema dopo lo schianto dell’aereo con il meglio del nostro nuoto, ragazzi d’oro, ondine fantastiche come Massenzi e Samuele che avevamo scoperto, ventiduenni, per Sport Informazioni ai campionati invernali dell’Olona così vicina all’amata Canottieri Milano. I suoi studi alla scuola tedesca che hanno aiutato tanto la sua esplorazione dai 100 alla maratona. Ricordi, rimpianti, benedicendo ancora Roggero e la Cinque Mulini perché l’ultima volta che Paola ha cercato di stregarci, con uno dei suoi tanti progetti per combattere la banalità, eravamo proprio alla presentazione della corsa del Malerba e del Turri sulle rive del fiume schiumante per l’indignazione di chi sta fisso al mulino Meraviglia.
Con questi pensieri, sentendo la voce del Giuriati, eccoci alla Fiera di Bologna. La Virtus ha confezionato un cappotto per pizzicare la pelle stanca dell’Armani cotta dopo 90 partite, battendola nella produzione di museruole per una difesa che ha stroncato chi non aveva più risorse mentali più che muscolari, smascherando un gioco che senza la precisione al tiro diventava troppo facile da leggere. La lezione del campo dovrebbe far pensare prima del brindisi uno sportivo come lo Zanetti che da giovane batteva Barazzutti a tennis, uno che nel ciclismo, lasciando il marchio in Formula uno, ha fatto grandi cose, che dal calcio si è allontanato presto, tenendosi però vicini quelli che soggiornano nell’isola dei lotofagi dove il pasto preferito è quello dell’allenatore all’olio. Bologna che prende dal suo ultimo generale vincente lo scudetto che Messina nel 2001 conquistò contro la Fortitudo di Recalcati, Fucka, Andrea Meneghin e De Pol, gli ultimi due impegnati nel bel duello televisivo fra Eurosport e RAI.
Un finale inatteso, alla faccia della presunta competenza. Ci siamo sbilanciati tutti salendo sul carro del probabile vincitore Messina, senza ascoltare, ad esempio, il Faina, che ad Istanbul c’era con D’Antoni allenatore nell’ultima partecipazione di Milano alle finali di eurolega prima di questa Armani. Bello stare sotto i riflettori, ma ci si brucia le penne. Milano e il suo usato sicuro impossibile da aggiustare dopo Colonia, anche se a Venezia c’era stata la zampata.
Virtus vincente con l’allenatore cacciato per 24 ore a Natale e rimesso sotto l’albero quando altri interpellati avevano fatto capire che quella poteva essere soltanto la squadra di Sasha, altezza media sopra l’uno e novanta, nata nella bambagia perché in troppi credevano di essere fenomenali attaccanti, non tanto forte al centro. Erano pazzerelli, come dice il signor Segafredo. La semifinale di coppa mancata, così come l’ammissione al torneo più prestigioso dove l’Italia avrà ancora soltanto l’ Armani, dimostrò agli illusi del paniere come prima regola che la vera gloria sarebbe arrivata cambiando mentalità in difesa.
Vicino al gorgo, un meno 15 a Treviso, ecco la nuova Virtus. Milano se ne è accorta subito. Era tardi. Djordjevic e i suoi maghi, Teodosic sempre, Belinelli nel momento del pericolo, poi il vero istruttore per gladiatori, il Markovic che usa la daga e non il pennello. Gamble come torre senza impegni offensivi che non poteva sopportare. Questa la base, ma la vera differenza, il capolavoro di Sasha Secondo, il primo era Danilovic, è stato quello di mostrarci sul campo la differenza fra scuole. Lui che ha lanciato il minorenne Gallinari a Milano, il ragazzo Ale Gentile a Treviso, ci ha detto cosa è il coraggio nell’anno in cui la scuola slava come ha scritto il Vanetti ha fatto il pieno dalla NBA al nostro piccolo mondo antico dove il presidente di Lega scopre che la finale elettrizza e quello federale ci gode un mondo nel far sapere che i legaioli non hanno nessun mezzo per riportare in A1 la Cantù che faceva così comodo ai tempi in cui la Lombardia dominava in Italia e in Europa.
Giusto rendere omaggio alle ragazze del tre contro tre ammesse alle Olimpiadi, e vai col pistolotto federale per beatificare giocatrici ed allenatori, ma certo questa finale vinta dalla Virtus pone un quesito al petruccismo dominante: chi, secondo lorsignori, ha lavorato davvero per il basket italiano fra Messina e Djordjevic? Gli ometti azzurrabili di Ettorre tutti azzerati o quasi, partendo dal Moretti che a 17anni, con Pillastrini, governava bene una squadra, spinto oltre la siepe da un sistema che forse andrà bene nella NBA, ma qui diventa cibo pesante per chi, lo sappiamo, non ha mai capito il Tarczewski bruciato dai gas fuori area dove era spinto dalle rotazioni a marcare un piccolo, arrancando goffo ed impreciso per tornare a casa.
Certo che non ce la prendiamo con il più vincente dei nostri allenatori come farebbero quelli che, in mancanza di argomenti, attaccherebbero le calze corte a righe dell’assistente americano. Diciamo soltanto che a Sacchetti il Sasha ha regalato giocatori italiani che hanno fatto davvero un salto di qualità, cominciando da Pajola per finire al Tessitori non visto in finale per infortunio. Persino Abass ha fatto un passo oltre alla banalità del tiro che vede e provvede, mentre Ricci è di certo più giocatore di quello che pure aveva stupito con Meo a Cremona. Peccato non poter mettere fra gli italiani Alibegovic, ma lui avrà altri problemi con il padre eroe di una Fortitudo gloriosa e con i tifosi dell’altra Bologna che già avevano preso male il ritorno a casa dal Texas del Beli che Repesa, ora tornato in via San Felice, aveva portato allo scudetto nell’epoca di Seragnoli.
Con questo quesito per il Presidente e la sua corte le pagelle delle finaliste senza prendere congedo. Scriveremo ancora perché ci mancano tante cose. Risponderemo volentieri a chi ci vorrà convincere che questa Milano ha un futuro e che questa Bologna è soltanto una stella dell’anno dispari.
VIRTUS SEGAFREDO BOLOGNA 8.5: Maddalena pentita ha perso tanti autobus, ma non quello più importante quando ha cambiato pelle.
MARKOVIC 8: il collante fra giovani non convertiti e l’allenatore fino alle finali.
ABASS 7: Voto alto per le finali da miscelare con quelli bassi della stagione.
WEEMS 8: Andata e ritorno nel regno delle mani dorate.
RICCI 8: Bella evoluzione con una partita d’attacco magistrale a Milano.
GAMBLE 7.5: Cuore e garroni. Uno che se non deve tirare i liberi ti aiuta davvero.
TEODOSIC 9.5: Il mago di Oz, con le sue magie, le sue giornate davanti ad un caffè pensando che il mondo non lo merita.
BELINELLI 8: Faticoso rientro, ma al tempo giusto dopo giorni da cavaliere oscuro.
PAJOLA 8.5: Un cacciatore nel giardino dello scudetto, una bella novità per la Virtus che lo ha cresciuto col Consolini lasciato andare a Reggio Emilia, e per la Nazionale.
ALIBEGOVIC 7.5: Gli manca poco e presto sarà lui il vero granicero delle Vu nere.
HUNTER 7.5 : Saggio, utile, importante.
TESSITORI 6.5: L’infortunio sul più bello.
DJORDJEVIC 9 più: Un capolavoro alla sua maniera. Da Milano dove gli piace la zona di Brera al Pavaglione. Un re.
ARMANI MILANO 9 per la stagione 6 per i play off, stesso criterio per i giocatori e gli allenatori.
RODRIGUEZ 9-5: Grande tutto l’anno, senza gambe alla fine.
SHIELDS 8-6: Un leone che alla fine non aveva più artigli, anche per merito della difesa Virtus.
DATOME 5.5-6: Non la stagione che ci aspettavamo da lui. Gomito, stanchezza.
LEDAY 7.5-5: Dal pulpito alla polvere. Succede se credi che basti la simpatia.
HINES 9-7: Ultimo ad arrendersi, un grande.
MORASCHINI 6-5: Un finale confuso, una stagione di crescita lenta.
BILIGHA 5.5: Vaso di coccio in mezzo a presunti leoni.
MICOV 5.5: Mai il professore che serviva e non soltanto per via dell’età.
PUNTER 7-5.5: Il suo braccio ha retto per tre quarti di stagione, alla fine era soltanto velleitario.
CINCIARINI 7 di stima: ha sopportato in silenzio, da vero capitano
DELANEY 6-4: Ci siamo sempre chiesti come un giocatore che piace tanto abbia cambiato squadra così spesso.
BROOKS come l’ADAMS virtussini quasi mai pervenuti sui campi dove pure facevano la ruota con gli altri.
MESSINA 9-5: Stagione alla grande, finale senza gloria. Peccato, ma ammetterà che fra le due finaliste forse quello che deve cambiare di più è proprio lui: non soltanto il gioco, ma pure le scelte insieme ad un manager saggio, di qualità che lo accompagna in questa avventura milanese che ora non può interrompere anche se le sirene romane cantano fingendo di non aver cantato, come se Sacchetti non conoscesse i polli di questi promessi sposi cestistici.
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