A casa non torneranno fenomeni

24 Giugno 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Nessuno salirà sul carro dei vincitori insieme a Lippi. Anche se la differenza fra una possibile cavalcata trionfale dopo essersi sbloccati e l’eliminazione azzurra più umiliante della storia del Mondiale (ultimi nel girone, nel 1958 non ci si qualificò per la fase finale in Svezia ma c’erano anche sedici squadre invece delle terzomondiste trentadue) è stata fatta dai dettagli oltre che da una condizione fisica scadente, che ha contato più dei limiti tecnici dei singoli e dell’unica mezzora di calcio che Pirlo aveva nelle gambe.
La Slovacchia dal ritmo basso vista nelle sue prime due partite del torneo è stata al 100% delle sue possibilità: è incredibile come solo contro l’Italia Weiss abbia schierato da titolare Miroslav Stoch, decisivo nel tenere bassissimo il difensore azzurro di destra, Zambrotta nel primo tempo e Maggio nel secondo. Al di là della bravura dell’ala appena ceduta dal Chelsea al Fenerbahce e dell’umiltà di Hamsik nell’andare a tamponare dove serviva, tutti i gol slovacchi sono arrivati da situazioni specifiche e non da buchi tattici: un appoggio leggero di De Rossi da cui è partita l’azione dell’assist per Vittek, una dormita di Chiellini sul semi-corner di Hamsik, un’incertezza di Cannavaro e Marchetti che è riuscita a trasformare in gol una rimessa laterale. L’Italia ha giocato il miglior calcio del suo Mondiale grazie alla personalità di Pirlo, l’unico dotato di creatività pura, e all’allargamento del campo dovuto all’entrata di Quagliarella. Nel momento del tiro a Lippi, va detto che anche in una nazionale orrenda tutti hanno remato nella stessa direzione: nessuno sbracamento di cui vergognarsi, solo mediocrità di quasi tutti e arroganza di qualcuno. Sbagliata la preparazione fisica, perlomeno valutato male l’inizio della fase di scarico. Supponente quella tattica, pensando che il ‘noi soli contro il mondo’ funzionasse anche quando non esistono nemici.
Marchetti non irreprensibile e un po’ da spiaggia, Zambrotta da due anni oltre il chilometraggio consentito, Cannavaro già in versione araba, Chiellini che ha sbagliato ma ha lottato, Criscito con l’atteggiamento del Primavera,  Montolivo e De Rossi ai loro minimi storici, Pepe il solito giocatore di categoria (solo che la categoria è inferiore a quella richiesta), Gattuso solo per dimostrare di non essere un motivatore (missione fallita), Iaquinta mobile e intenso ma con poche occasioni, Di Natale che era in forma ma ci ha forse creduto poco. Importante l’atteggiamento di Maggio almeno nell’alzare di venti metri la manovra, eccellente e fino a poco fa dimenticato dal c.t. Quagliarella, da rimpianti urlanti un Pirlo che dagli ottavi sarebbe stato quasi Pirlo.
Nel post-partita si sta facendo passare il messaggio qualunquista che ‘questo è il meglio che offre il calcio italiano’, ma non occorre essere talent scout per trovare tanta qualità giovane e meno giovane lasciata a casa. Inutile proporre il solito elenco in parte fondato e in parte tifoso, sotto al livello medio di Argentina, Spagna e Brasile c’è sempre l’Italia, ma visto che si gioca in undici l’Argentina può qualificarsi al Mondiale per miracolo e l’Italia uscire al primo turno. Di sicuro Prandelli non troverà il deserto, come altrettanto sicuro è che non tratterà la Nazionale come una sua proprietà personale, teatrino dove dare sfogo alle antipatie personali. Complimenti a Lippi, campione del mondo subendo due gol (un’autorete e un rigore) in sette partite e senza nemmeno un attaccante in grande forma. Complimenti a Lippi. c.t. del più grande fallimento azzurro che ha comunque avuto il coraggio di tornare in una situazione in cui avrebbe potuto solo fare peggio di se stesso. Furbo nell’assumersi ogni responsabilità evitando domande tecniche dei penosi giornalisti al seguito, che comunque non gliene avrebbero fatte (la conferenza stampa è stata tutta un ‘Grazie Marcello’ da embedded) ci ha ricordato per molti versi il Lippi interista: quello che credeva bastasse essere Lippi per trasformare gli asini in cavalli, prescindendo dal valore di chi andava in campo e dalla forza di chi gli stava dietro. La solita sbobba su motivazioni, concentrazione, rabbia, eccetera, serve solo a nascondere gli errori per così dire professionali. Non unicamente suoi, ma anche di una federazione che ne ha avallato i comportamenti umani e tecnici e che adesso lo lascerà solo come solo aveva lasciato Donadoni due anni fa mentre gli stava segando la panchina (eliminato dalla Spagna ai rigori, va detto, non superato dalla Nuova Zelanda). La vergogna alla fine non è essere eliminati, perchè fa parte del gioco, ma è avere tolto la Nazionale agli italiani. Non era nemmeno antipatica, l’abbiamo guardata solo per abitudine.
stefanolivari@gmail.com

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