A Berlino va bene… con Garbo

20 Gennaio 2021 di Paolo Morati

A dieci anni mentre guardavamo Discoring restammo folgorati dall’introduzione di un brano che non aveva nulla a che vedere con la maggior parte della musica italiana che all’epoca girava in radio e televisione. Eravamo nella stagione autunno/inverno del 1981 e la canzone era A Berlino va bene… scritta e cantata da Garbo, al secolo Renato Abate, contenuta nell’omonimo album che quest’anno, a settembre, compirà 40 anni.

Un disco, A Berlino va bene…, considerato un caposaldo della new wave italiana, per un personaggio certamente atipico e indipendente dalle regole discografiche di ieri così come di oggi, frutto di influenze e un gusto di matrice europea per andare ‘oltre’. Un viaggio che Garbo ci aveva raccontato qualche anno fa in questa intervista, con riferimenti che andavano da Lou Reed a David Bowie passando per i Roxy Music.

E di fatto la sua opera prima non nascondeva nulla di quell’imprinting così diverso, sia rispetto a quanto uscito dalla scuola dei cantautori nel decennio precedente sia a quello che uscirà dalle note pop tipiche di quello successivo. La proposta di Garbo non era in tal senso certo digeribile da chi si aspettava la canzone italiana di genere, orecchiabile e melodica, ma per noi già onnivori musicali bastava ‘sentire’ quel qualcosa per non scartarlo a priori. Al di là delle etichette.

Per scoprire completamente Garbo avremmo aspettato ancora un anno, ossia l’album Scortati del 1982, quello con Generazione e Vorrei regnare, e poi la partecipazione a Sanremo nel 1984 con Radioclima, passioni condivise con i compagni delle medie, per una maggiore indipendenza e consapevolezza d’ascolto. Ma tornando a quel disco di esordio, già caratterizzato dal canto dalla voce profonda, la cosa che stupisce di più al suo riascolto è il sospetto positivo che non ci fosse dietro alcun calcolo commerciale ma solo un incedere di proprio gusto. Eventuali imperfezioni comprese.

A Berlino va bene… più che un semplice disco è un racconto con i testi, come in altri lavori di Garbo, fatti di immagini, pennellate di parole e sensazioni. Dalla title track che ci ricorda inesorabile che “la nebbia entra anche dai vetri” al “ci barattiamo sigarette e idee” di In questo cielo a novembre, a “spegnere le ore con un gesto della mano” (Dans une nuit ainsi). E ancora Futuro dove invoca “Viviamo un po’ questo tempo futuro… E viviamolo un po’ di più… Lo chiameremo futuro… se vuoi!”.

Da lì in poi l’allora giovanissimo Garbo ha inciso tanti altri album, prima sotto le multinazionali poi in forma indipendente, meno celebrati rispetto a quelli degli esordi (Blu, del 2002, tra i nostri preferiti in assoluto) ma importanti testimonianze, e sempre originali rispetto alla ricetta mainstream. Senza pretendere di piacere a tutti i costi, ma capaci di sorprendere chi è lontano dal livellamento (o dalla ‘equità’) operato dalle mode.

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