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5 channels and nothing on

Stefano Olivari 15/02/2010

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di Stefano Olivari
57 channels (and nothing on). Parlando di Sky ed in generale di televisione la citazione springsteeniana è un po’ telefonata, ma non possiamo permetterci schiavi. Un James Ellroy un po’ bollito ed autocompiaciuto ha di recente raccontato di non leggere i giornali, nemmeno quelli d’epoca che gli servirebbero per i romanzi (paga chi lo faccia al posto suo), noi operai siamo invece costretti ad andare di memoria pop.
In realtà volevamo solo dire che da telespettatori dell’Olimpiade di Vancouver senza uno sport da seguire a prescindere (per i Giochi estivi lo faremmo con basket e atletica, ma qui è una gara a cosa ci piace di meno: salviamo l’hockey ghiaccio, purtroppo in orari difficili), i cinque canali dedicati ai Giochi sono sembrati inutili ed alcuni inviati inferiori agli omologhi Rai. Al punto che abbiamo sentito la necessità di un filo conduttore, per districarci fra tante dirette con poco ritmo e poco ‘ambiente’: colpa questa anche delle discipline e non certo delle emittenti che hanno acquistato i diritti. Confessiamo quindi che quando ce n’è stata la possibilità siamo andati sulla Rai, terrestre o digitale. Con i nostri sport preferiti non sarebbe successo, altra storia per quelli guardati di pura curiosità e perchè pur nella nostra ignoranza comprendiamo che il bronzo di Pittin sia dal punto di vista storico più importante dell’ultimo rigore. Cosa vorrà dire? Forse che la tivù generalista gratuita ha ancora un senso e che non può essere considerata una riserva per vecchi e poveri. La memoria collettiva, ma sarebbe meglio dire filo conduttore, di un paese si forma su eventi vissuti in modo collettivo a prescindere dalla loro importanza nella storia dell’umanità. Poi possiamo esaltarci per le nostre nicchie, che ci permettono di non dare la linea al Tg1 sul tie-break decisivo ed in definitiva di avere sempre ragione. Ma alla fine il tennis ci piaceva anche senza poter vedere quel tie-break, forse di più.
stefano@indiscreto.it

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