40 anni da Litfiba: intervista a Ghigo Renzulli

Lo storico chitarrista del gruppo fiorentino pubblica la sua prima autobiografia ('40 anni da Litfiba') e si confida in una lunga intervista con Indiscreto. Raccontandoci, tra un aneddoto e l'altro, che anche lui ha visto Maradona...

22 Febbraio 2021 di Simone Sacco

L’ora è quella giusta, le domande sono calde, il telefono squilla e all’altro capo c’è Ghigo Renzulli. Il chitarrista dei Litfiba ha da poco compiuto 67 anni – bell’anno, il ’67: vi sono usciti i dischi più importanti di sempre – eppure, anche solo a leggerlo su carta, sembra sempre quella meteora impazzita (Carlos Santana che suona col distorsore a portata di stivale) che ha impresso il suo marchio sul rock italiano.

Già, il rock di casa nostra. Entità ambigua, bistrattata, spesso esterofila, ma che se tuttora esiste dovrà sempre dire grazie alla tenacia dei Litfiba (e al carattere internazionale, un decennio prima, di Banco Del Mutuo Soccorso e PFM). Più a loro tre che a tutti quei gruppi indie, idolatrati dalla critica, che non se la sono mai sentita di uscire dalla comfort zone del caminetto snob ed underground. D’altronde bisogna avere le canzoni giuste per approdare nei palasport e far sudare il pubblico in un assembramento che odora di innocente genuinità.

Il dio della musica benedica i Litfiba per averci dato la new wave fiorentina, Desaparecido e 17 re, ma anche le chitarre grasse, diaboliche e liquide degli anni Novanta. Perché anche noi, figli incasinati della seconda metà degli anni Settanta, a qualche idolo dovevamo pur appellarci e il nostro personalissimo Terremoto ci è piaciuto farlo deflagrare. La parola a Renzulli, lo sguardo ancora rapito dalle mille vicende della sua autobiografia 40 anni da Litfiba. Ebbene sì, Firenze (Prandelli e bassifondi della Viola a parte) sogna ancora.

Ghigo, onestamente ho perso il conto di quante biografie dei Litfiba siano uscite negli ultimi trent’anni…

Ti capisco, ma sono tutti libri diversi tra loro. Piero (Pelù. Ndr), ad esempio, è uscito in questi giorni col suo nuovo libro (‘Spacca l’Infinito’. Ndr) dove parla ovviamente anche del gruppo, ma il suo, da quanto ne so, dovrebbe essere più un romanzo che un memoir vero e proprio. Poi, in passato, ci sono state le due biografie di Federico Guglielmi (ex firma della rivista Mucchio Selvaggio. Ndr), ma quelli erano i classici libri redatti da un giornalista che intervistava la band e poi scriveva di testa sua. ’40 anni da Litfiba’, da questo punta di vista, è tutta un’altra storia…

Qui c’è Ghigo Renzulli in tutta la sua essenza che non le manda di certo a dire…

Esatto. Nel mio libro cambia essenzialmente il linguaggio: è tutto più schietto, di pancia, fortemente rock ‘n’ roll. ’40 anni da Litfiba’ avrei potuto scriverlo solo io che tutto sono tranne che un giornalista laureato in Lettere… (ridacchia)

Se questo tomo di oltre 300 pagine fosse un disco dei Litfiba, su quale ti orienteresti?

Su nessuno in particolare. Mi spiego meglio: i Litfiba sono sempre stati un gruppo camaleontico ed eterogeneo dal 1980, anno della loro fondazione, fino ai giorni nostri. Negli anni Ottanta suonavamo new wave perché il periodo era esattamente quello; negli anni Novanta  ci siamo avvicinati al rock perché, nel frattempo, era scoppiato il fenomeno del grunge; a fine decennio, con il boom di vendite di ‘Infinito’, ci siamo immersi perfino nel nazional-popolare. Poi, dopo l’addio di Piero, siamo tornati ad essere belli dark (recuperatevi un disco erroneamente minore come ‘Insidia’ del 2001. Ndr). Rientra Piero nel 2010 e cosa combiniamo? Ci rimettiamo a suonare rock come ai bei tempi. Certo, ragionando così e vista l’aria che tira, il nostro prossimo disco dovrebbe essere un tributo alla trap…

Mio dio.

Dai, stavo scherzando! Non mi passa neanche per l’anticamera del cervello! (ride)

A me ’40 anni da Litfiba’ ha ricordato un disco come ‘Spirito’. Forse per via della sua scrittura ariosa e coinvolgente…

Sono d’accordo, ma allora dovremmo citare anche ‘Terremoto’. Per via del mio linguaggio senza peli sulla lingua. Per come questo libro ti travolge trattando qua e là anche storie di sesso o droga.

L’hai letta ‘Life’, l’autobiografia di Keith Richards? Per me potrebbero esserci delle similitudini tra la sua scrittura e la tua. Forse è un vizio di voi chitarristi…

No, purtroppo non l’ho letta. Ma ad uno come Keith Richards cosa gli vuoi dire? Va in tour da sessant’anni, riempe gli stadi con gli Stones e sembra sempre divertirsi come se suonasse blues in qualche scantinato londinese. Il nostro, in fin dei conti, resta un mestiere legato all’entertainment. Se vai sul palco e hai qualche scazzo per la testa, il pubblico inevitabilmente se ne accorge. E si esalta di meno.

Il fatto è che Richards, in quella sua fantastica autobiografia, prende dalla vita tutto come gli viene. Con serenità e divertimento. Come se questo “tutto” – dal riff di ‘Jumpin’ Jack Flash’ alla peggiore delle overdose passando per Marianne Faithfull – gli fosse capitato quasi per caso…

Eh, belle sensazioni quelle! Bello scrivere libri sfruttando l’arma dell’ironia, con un taglio sereno e senza buttare merda su nessuno. Io, ad esempio, sono orgoglioso d’averlo fatto.

Forse perché i Litfiba, nonostante negli anni Novanta vendessero milioni di dischi (beninteso, dischi fisici, quelli che dovevi andare in negozio e mollare le tue belle trentamila lire) e riempissero i palasport, non se la sono mai tirata come qualche altro intoccabile della musica italiana?

Ehm, forse ad un certo punto ce la siamo tirata anche noi, ma in quel caso non è che ci sia andata granché bene. Nel 1999 abbiamo avuto i nostri bei problemi di ego (io più talebano nell’approcciarmi alla materia musicale, Piero più lusingato dal pop) ed è finita che ci siamo separati! Però, per quel che riguarda il prima, non smetteremo mai di ringraziare i nostri sudatissimi dieci anni di gavetta dato che qualche soldino abbiamo iniziato a farlo giusto con ‘Pirata’ che era un disco del 1989. Ne abbiamo inghiottiti di rospi. Talmente tanti che, quando il pubblico ha iniziato a seguirci in massa, i Litfiba erano già vaccinati contro ogni comportamento da stronzi.

Ho notato che su Spotify manca ‘Colpo di Coda’, un vostro eccellente album dal vivo uscito nel 1994. Quello che documentava la tournée di ‘Terremoto’. Come mai?

Semplice: perché io non sono proprietario dei diritti editoriali su quel disco. Mi piglio la SIAE, ok, ma non posso renderlo disponibile per lo streaming. ‘Colpo di Coda’ era della casa discografica EMI che, nel frattempo, è fallita. Così il nostro catalogo se lo sono spartiti la Warner che ora fa i soldi col cinema e la Sony che monetizza vendendo televisori di ultima generazione. La musica, ormai, rappresenta solo una piccola percentuale nel business-plan di queste multinazionali.

Quello che la gente forse non capisce è che se oggi uno ha ancora voglia di andarsi a riascoltare ‘El Diablo’, ‘Terremoto’ o ‘Spirito’ è perché quei dischi, bontà del songwriting a parte, costavano delle belle cifre in milioni di lire. Erano prodotti basati in partenza su un’idea di qualità…

Be’, è un po’ il problema della trap odierna, no? Arriva l’ultimo trapper alla moda, fa 130 milioni di streaming in una settimana, ma morire che venda un CD o un vinile… Lo sai quanto ci è costato ‘Litfiba 3’, primo disco italiano registrato interamente in digitale? Lasciamo stare, dai. Forse era meglio se lo facevamo ancora in analogico! (ride) Lo sai quanto ha voluto Rick Parashar per un mese di lavoro su ‘Spirito’? Un mese esatto, eh, non un giorno di più. Aveva già il biglietto aereo per gli Stati Uniti vidimato per il ritorno…

Per la cronaca: Rick Parashar, storico produttore di ‘Ten’ dei Pearl Jam e dell’unico album dei Temple Of The Dog, ma anche dei Nickelback e di Bon Jovi. Scomparso prematuramente nel 2014.

Proprio lui. Rick ci chiese 80mila dollari dell’epoca. E noi glieli pagammo volentieri, convinti che il nostro sound ne avesse bisogno. Se mi fa male che il music business di oggi si sia ridotto così? Con queste produzioni low cost, le vendite crollate e lo streaming che la fa da padrone? Sì, mi fa molto male. Mi urta nel senso che, agendo così, dischi come ‘The Dark Side Of The Moon’ non usciranno mai più. Un po’ per il genio immenso dei Pink Floyd, ma anche per l’aspetto meramente economico. Quell’album, d’altronde, non lo registri in un monolocale smanettando come un nerd su un programma per PC…

Tu, tra l’altro, hai pure un disco in uscita a breve, no?

Già. E mi sono fondato anch’io la mia bella etichetta privata: tanto ormai un’etichetta discografica non la si nega più a nessuno… (sghignazza) Il gruppo si chiama No.Vox., l’album ‘Cinematic’ e facciamo musica esclusivamente strumentale. Le prime copie del CD le ho allegate a ’40 anni da Litfiba’, ma ora mi piacerebbe pubblicarlo anche in vinile e ristampare molti più compact disc per quelli che non l’hanno già recuperato col libro. Quando uscirà? Io dico in primavera, ma sempre in base a come si evolverà questa faccenda drammatica del Covid. Anche perché, dopo l’uscita ufficiale, mi piacerebbe tenere delle date nei teatri. Bada bene: teatri e non club vista la natura sperimentale di questa musica…

Cosa ci siamo persi lo scorso dicembre quando, in un mondo diverso, sarebbero dovuti partire i festeggiamenti per il quarantennale dei Litfiba?

Niente, non vi siete persi ancora niente visto che l’anniversario è caduto il 6 dicembre scorso e, per festeggiare i nostri primi quarant’anni di storia, in teoria abbiamo tempo fino al 6 dicembre del 2021… Forse avremmo organizzato un breve tour, ma non l’abbiamo mai preso in considerazione visto che il virus, purtroppo, ci ha colto in contropiede. A noi e al resto del mondo.

A novembre del 2021 saranno cinque anni esatti che i Litfiba non pubblicano canzoni inedite. Ce la farete a registrare un nuovo album nel frattempo?

Le canzoni nuove bisogna mettersi lì e farle. E il nostro non è un mestiere che timbri il cartellino e, a fine turno, ti ritrovi con un nuovo disco tra le mani. Bisogna lottare, scontrarsi e ad un certo punto mediare su una specie di idea comune. Hai presente ‘Eutòpia’, il nostro ultimo lavoro di inediti? Nella versione in vinile c’è una mia composizione strumentale intitolata ‘La danza di Minerva’. Poi ti ascolti il disco e ci trovi anche ‘L’impossibile’ che sarebbe sempre ‘La danza di Minerva’ una volta che Piero e la band ci hanno messo le mani. Una traccia totalmente diversa. Ecco, fare musica in gruppo è questa roba qua.

Tu, musicalmente, il nuovo disco dei Litfiba ce l’hai già in testa?

Io di dischi in testa ce ne avrei anche cinque! (ride) Il problema, come ti dicevo prima, è che con l’età sto diventando sempre più talebano e underground: un vero e proprio “brigatista” della musica! Piero, in tutta onestà, mi sembra decisamente più pop in questo periodo della sua carriera. E forse, a dircela tutta, ci stiamo di nuovo allontanando un po’ troppo, io e lui. Oppure questa dicotomia di stili potrebbe anche essere un vantaggio, chi lo sa…

Mettiamo che nel 2021 venga fuori il nuovo ‘Terremoto’ dato anche il clima politico e sociale che l’Italia sta attraversando da un po’ di tempo a questa parte. Sto sognando?

Forse sì perché ‘Terremoto’ è irripetibile solo a pensarci. Quel disco fu una perfetta simbiosi tra le canzoni che avevamo scritto allora (estate/autunno del 1992. Ndr), quel pugno iconico che mettemmo in copertina e il ciclone di Mani Pulite che stava soffiando sull’Italia. Tempi pesanti. Un giorno apro un settimanale d’opinione – uno di quelli seri dove ci scrivono sopra gli opinionisti seri – e in copertina cosa vedo? Il pugno di ‘Terremoto’! “Ok, è fatta”, pensai. A quel punto il pubblico dei Litfiba si moltiplicò per tre e ai concerti succedevano dei bei macelli sonori. Scene irripetibili a livello di coinvolgimento e intensità.

Un po’ come vedere una partita di calcio combattuta fino al novantesimo?

Guarda, io sono la persona meno indicata al mondo a parlare di calcio. Nel senso che non seguo il campionato, ma solo qualche partita della Nazionale ogni tanto. Giusto quelle più importanti, ai Mondiali, quando si ferma l’intero Paese. Però un aneddoto sportivo ce l’ho anch’io e riguarda il più grande calciatore di tutti i tempi: Diego Armando Maradona.

Ghigo e il Pibe: interessante.

Non ricordo né l’anno né il luogo (potrebbe essere successo ad Ancona come a Pescara. O forse era Arezzo…), ma erano gli eighties. Era estate, i Litfiba stavano in tour e, durante un giorno libero, ci invitano tutti quanti a vedere una partita amichevole del Napoli. Per me, ripeto, era contro l’Ancona, ma forse mi sbaglio. Non so se c’era anche Piero, di sicuro io e l’Aiazzi (il tastierista Antonio Aiazzi detto “Il Marchese”. Ndr) eravamo presenti sugli spalti. Gioca Maradona e fa un numero dietro l’altro. Segna tre gol in scioltezza e poi, soddisfatto, chiede la sostituzione. Mi lasciò letteralmente inebetito. Quello non era un numero 10, ma una furia della natura.

A proposito, chi “allenava” quei Litfiba che stavano diventando sempre più famosi? Tu o Piero?

Macché. Quel ruolo spettava ad Alberto Pirelli, il nostro manager. I Litfiba, negli anni Ottanta ma soprattutto nel decennio successivo, erano tutti dei fantasisti difficili da tenere a freno. Se non ci fosse stato Alberto a prendere le decisioni nei momenti cruciali, ora probabilmente saremmo ancora qui. Ma non saremmo mai stati quel gruppo così invincibile.

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