Battiato vende i biglietti e Alice vince

13 Marzo 2016 di Stefano Olivari

Il finale di carriera non è mai facile per i campioni. Quasi nessuno pensa sia il momento giusto per ritirarsi, vale per Totti come per Franco Battiato. Trentuno album in studio, senza contare tutto il resto, sembrerebbero più troppi che tanti visto che ai concerti il pubblico, anche quello più informato, chiede sempre con entusiasmo molesto Cuccurucucù e Centro di gravità permanente. Anche se il Battiato più vero, quello che non stanca mai, è a nostro parere quello relativamente più recente, con la trilogia dei Fleurs e soprattutto Campi Magnetici che fa tornare come atmosfere e suoni ai primi anni Settanta. L’artista siciliano è uno che si stanca a fare se stesso, come traspare dalle interviste, inoltre per il suo stile di vita non ha certo bisogno di soldi. Per questo il tour con Alice ci aveva sorpreso: una scelta nelle corde di Morandi-Baglioni, per dire, ma non certo di due che hanno scelto spesso la strada più difficile.

Con questo spirito un po’ così abbiamo assistito a uno dei concerti del loro tour, qualche giorno fa al Teatro degli Arcimboldi di Milano, cercando di trovare una chiave che andasse oltre la messa cantata per nostalgici. Non l’abbiamo trovata nella scaletta, dove c’era tutto quello che il telespettatore medio di Rai Uno conosce di Battiato, ma nell’atteggiamento. Battiato si presenta in scena e si siede in una specie di salotto spoglio, non fa il santone ma mette i settantuno anni nella parte quasi di nonno pacificato più dalla vita che dal sufismo. Un nonno che inizia piuttosto male, cantando sotto anche ai suoi standard recenti, crescendo poi alla distanza.

Battiato-AlicePensavamo che la presenza di Alice fosse un omaggio alla loro grande amicizia e anche un espediente per fargli prendere fiato, ma ci sbagliavamo. La splendida sessantaduenne (da non credere, per la leggerezza con cui si muove e tutto il resto), vincitrice orgogliosa di Sanremo 1981 anche se poi ha puntato sulla canzone d’autore, entra in scena dopo nove canzoni di Battiato (si parte con L’Era del cinghiale bianco e si finisce con La Cura) e si spara subito alcuni dei suoi successi, da Per Elisa a Il vento caldo dell’estate, poi dopo sei canzoni iniziano duettare con Nomadi, La realtà non esiste (omaggio al grande Claudio Rocchi, personaggio fondamentale per capire gli anni Settanta) e Prospettiva Nevskij. Poi rimane in scena il solo Battiato che esegue in pratica tutti i brani di La Voce del Padrone, l’album dell’enorme successo commerciale, si chiude poi con i bis e I Treni di Tozeur che in coppia portarono all’Eurofestival 1984.

Parafrasando un famoso detto del football americano, Battiato ha fatto vendere i biglietti ma Alice ha fatto vincere la partita insieme all’eccellente Ensemble Symphony Orchestra diretta da Carlo Guaitoli. Un gioco sottile, quello di Battiato: rispettare il pubblico con la sua facilità, che sempre lo ha spaventato, di hit-maker, ma anche proponendogli qualche canzone di quelle che non si possono fischiettare come lo Spirito degli abissi e Le nostre anime (gli inediti dell’ultimo album), Io chi sono? (quasi un suo manifesto), Stranizza d’amuri e L’animale. Ne valeva la pena.

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