Democracia Corinthiana, più Socrates che comunismo

16 Febbraio 2016 di Indiscreto

Nel calcio si danno per scontati, ad ogni livello, rapporti di tipo gerarchico-militare: il presidente dà ordini ai dirigenti che danno ordini all’allenatore che dà ordini ai calciatori. Per questo l’esperimento più eversivo mai visto è stato quello della Democracia Corinthiana, che per due anni introdusse nel calcio una sorta di autogestione, con le decisioni più importanti per il club e per la squadra decise da votazioni in cui i calciatori avevano lo stesso peso dell’allenatore e dei dirigenti. Il volto di quei due memorabili anni, dalla primavera del 1982 all’estate del 1984, è quello di Socrates, ma la storia merita di essere conosciuta al di là delle sue icone, per quanto straordinarie come il defunto ‘Dottore’ (di nome e di fatto, perché in ospedale ha lavorato davvero). Nell’impresa si è cimentata, in un libro pieno di spunti editato due anni fa da Fandango, la giornalista brasiliana Solange Cavalcante, ma il risultato di Compagni di stadio – Socrates e la Democracia Corinthiana è abbastanza confuso. Non per mancanza di informazioni, ma a causa della loro abbondanza per certi versi acritica.

Gran parte delle 245 pagine sono infatti dedicate alla situazione politica brasiliana degli anni Settanta e Ottanta, molto interessante ma non decisiva per definire l’unicità della Democracia: purtroppo non è quella l’unica dittatura sudamericana sotto cui si è giocato a calcio e a dirla tutta non è stata nemmeno la peggiore. Il libro prende quota quando l’autrice analizza le peculiarità storiche del Corinthians, squadra popolare fin dalla sua fondazione, decisive per capire perché proprio lì si sia materializzato quell’esperimento e non, ad esempio, in altri club finanziariamente alla canna del gas. Calciatori sottopagati, sfruttati e trattati come bambini non erano mai mancati nella storia brasiliana, con anche i più intelligenti (come Pelé) costretti ad accettare qualsiasi tipo di compromesso, senza bisogno di ricordare le truffe ai danni dei meno preparati culturalmente, come Garrincha. Ma è in quel Corinthians che la ribellione si materializza, per circostanze storiche forse irripetibili. Non è comunismo, etichetta-insulto che in Sudamerica viene distribuita con troppa facilità (chiunque non ami le dittature è automaticamente ‘comunista’), ma democrazia. Con tutti i limiti della democrazia ma anche i pregi, come quello di non essere trattati come bambini da ricchi pregiudicati. L’abolizione dei ritiri pre-partita, una delle più famose ‘misure’ della Democracia, non era una scorciatoia per ubriacarsi con facilità ma un mezzo per essere ritenuti professionisti (per quanto mal pagati) padroni della propria vita.

La storia politica della Democracia Corinthiana inizia poco dopo il Mondiale del 1982, dove Socrates è stato capitano di un Brasile bellissimo e sfortunato, che secondo molti avrebbe subito il terzo gol di Paolo Rossi al Sarrià perché non si è accontentato del pareggio (quando invece il gol è nato da un calcio d’angolo battuto da Bruno Conti, con tiro loffio di Tardelli dopo un rimpallo e guizzo di Rossi in mischia). A novembre ci sono le elezioni amministrative e il Corinthians si presenta in campo con sulla maglie la scritta ‘Andate a votare’. Non sono elezioni politiche libere, quelle arriveranno soltanto qualche anno dopo, ma il messaggio è chiaro. La squadra di Socrates, Wladimir, Biro-Biro, Zenon e Casagrande già dalla primavera è in regime di autogestione. Le condizioni finanziarie del club sono disastrose, c’è un vuoto di potere e così il direttore tecnico del Corinthians, Monteiro Alves, insieme ai giocatori pensa a una strada che cambi il modo di fare calcio: le decisioni sportive andranno condivise fra tutti e in prospettiva il club dovrà essere posseduto dai suoi tifosi. Lo slogan Democracia Corinthiana è proprio… uno slogan, perché non nasce dai giocatori ma da un famoso pubblicitario brasiliano, Washington Olivetto, all’epoca dirigente del club.

La vicenda è comunque molto complessa e nel libro non si evidenzia secondo noi abbastanza che molti tifosi del Corinthians all’inizio erano contrari all’idea: reazionario in maniera strutturale, il tifo calcistico gradisce la gerarchia e ama profondamente i padroni (che considera mecenati, un po’ come fanno molti giornalisti) decisionisti. Non solo: Socrates e compagni ritengono che il pubblico vada educato, la vittoria è l’obbiettivo principale di tutti ma non è l’unica cosa che conta ed in ogni caso non vale il prezzo della dignità. Fatto sta che quella squadra, molto disciplinata tatticamente e non certo piena di talenti anarchici, in tre stagioni vince per due volte il campionato paulista e diventa un fenomeno nazionale. Ma se in campo l’autogestione funziona, fuori dal campo il club va sempre peggio e così nel 1984 si torna a una dirigenza di tipo ortodosso. Questa restaurazione, unita all’ennesimo rinvio di elezioni politiche libere, induce Socrates ad abbandonare il Brasile ed accettare le offerte della Fiorentina dei Pontello. Decisamente un altro mondo, l’Italia degli anni Ottanta, con il campione che si fa male già durante la preparazione e non torna più lui anche se lo si rivedrà in buone condizioni al Mondiale 1986. Uno dei rari casi di personaggi non costruiti, un uomo morto nel 2011 e che rappresenta un raro caso di sportivo che ha voluto essere padrone della propria vita. Purtroppo la Democracia Corinthiana è rimasta qualcosa di unico nella storia degli sport di squadra, anche se qualcuno la confonde ancora con il leader della squadra che chiede al presidente la testa dell’allenatore.

Share this article