Il terremoto salvezza dell’Avellino

25 Novembre 2020 di Stefano Olivari

Quaranta anni fa, esattamente il 23 novembre del 1980, l’Irpinia e altre parti della Campania, oltre che della Basilicata, furono devastate da un terremoto al decimo grado della scala Mercalli, con 3.000 morti, danni enormi e una ricostruzione a base di ritardi e corruzione. Tutte cose rievocate da tanti in questi giorni, noi parliamo di calcio e quindi ci concentriamo sull’Avellino dell’epoca, che nella Serie A a 16 squadre, con 3 retrocessioni, era partito con 5 punti di penalizzazioni da calcioscommesse.

Lo straniero scelto dal presidente Antonio Sibilia, padre dell’attuale presidente della Lega Dilettanti (nonché deputato di Forza Italia), Cosimo, era come tutti sanno Juary. L’attaccante brasiliano, di recente intervistato da Gianluca Casiraghi per Indiscreto, segnò il suo primo gol in campionato alla quarta giornata contro il Cagliari e si sbloccò definitivamente proprio quel maledetto 23 novembre, al Partenio, quando insieme ad un ispiratissimo Ugolotti travolse l’Ascoli allenato da G.B. Fabbri. E nel tardo pomeriggio visse i momenti terribili del terremoto insieme a Stefano Tacconi, con il quale si era trovato per andare poi a cena insieme.

Veniamo al dunque. Molti all’epoca ed ancora oggi sostengono che la salvezza della squadra di Vinicio, che dovette giocare alcune partite casalinghe al San Paolo, fu aiutata anche da arbitraggi compiacenti ispirati dalla Democrazia Cristiana campana. Ministri del governo Forlani erano infatti Enzo Scotti e soprattutto Antonio Gava, mentre l’avellinese Ciriaco De Mita era il leader della sinistra DC, la corrente che nel 1982 avrebbe conquistato il potere nel partito e quindi in Italia (curiosità: suo consigliere economico era il futuro presidente della Repubblica Romano Prodi).

Quell’Avellino era una discreta squadra, fra capitan Di Somma, Vignola, Criscimanni, Cattaneo e Mario Piga (c’era anche un giovane Carnevale, che segnò un gol fondamentale per la salvezza), ma fra le pericolanti fu di certo la più aiutata dal sistema. Inutile fare la moviola a decenni di distanza, ma doveroso ricordare l’incredibile secondo tempo di Avellino-Roma al Partenio il 24 maggio 1981. I giallorossi erano a un punto dalla Juventus (la vittoria valeva due punti, bei tempi) impegnata contro la Fiorentina di De Sisti, l’Avellino era una delle cinque squadre da cui sarebbe uscita la compagna di retrocessione di Perugia e Pistoiese. In un clima da guerra civile, soprattutto fuori dallo stadio, gol giallorosso di Falcão alle 16.06 e Roma per 21 minuti da spareggio scudetto, fino al gol di Cabrini. Poco dopo al Partenio pareggio di Venturini e Juventus sopra di due punti.

Risparmiamo il ricordo dell’alternarsi di risultati, con l’incredibile finale di 5 squadre al terzultimo posto a 25 punto (retrocesse il Brescia per la classifica avulsa), ma non quello della Roma che alla mezzora del primo tempo letteralmente smise di giocare. Eppure la Juve stava vincendo 1-0… In un’ora solo un bel tiro di Bruno Conti parato da Tacconi, ma metà squadra con la testa da un’altra parte al punto che Liedholm si infuriò, poi nel dopo-partita dicendo e non dicendo. Ci mise del suo anche l’arbitro Menicucci, con un tempo effettivo da Comnebol. Liedholm nemmeno se la prese per un fallo da rigore di Di Somma su Ancelotti, che peraltro disputò una delle peggiori partite della sua vita, così come Pruzzo che fu sostituito da Birigozzi per l’assalto finale che non ci fu. 1-1 e vittoria della legge del Partenio, forse non solo di quella.

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