Canale 5 oggi

13 Novembre 2020 di Stefano Olivari

Quarant’anni fa, l’11 novembre del 1980, nasceva Canale 5. Nel senso che Canale 5 come marchio sostituiva in tutta Italia, dalla Lombardia di Telemilano 58 alla Sicilia di TVR, i marchi di televisioni che già da qualche settimana (inizio trasmissioni il 30 settembre) erano state federate, quando non direttamente comprate, da Silvio Berlusconi. Una data storica, perché Canale 5 e qualche anno più tardi Italia 1 e Rete 4 raccolte dai fallimenti di Rusconi e Mondadori avrebbero segnato la cultura italiana e il modo di pensare di tutti, anche di chi non avrebbe mai votato per Forza Italia.

Ma cos’è diventato Canale 5 oggi? Chi lo guarda? Nel 1980 il pubblico di riferimento, chiaramente identificato da Berlusconi che poi agli investitori pubblicitari proprio quel pubblico vendeva, era una piccola e media borghesia vagamente conservatrice ma al tempo stesso incuriosita dalla modernità, non politicizzata e desiderosa di migliorare le proprie condizioni di vita, consumando più e meglio, avendo conosciuto in prima persona l’Italia del dopoguerra. Il fatto che il personaggio simbolo fosse Mike Bongiorno e che il sogno fosse accaparrarsi tutte le stelle RAI nel cuore del pubblico non significava certo avere finalità eversive. In estrema sintesi, Berlusconi si rivolgeva ad un’Italia non rivoluzionaria, anzi, ma che passati gli anni Settanta voleva guardare avanti, considerando il lavoro, il guadagno, il successo, come traguardi.

E adesso? Quell’Italia si è impaurita, da ben prima del Covid: consuma di meno, in proporzione a reddito e patrimonio, fa meno figli, pensa che il meglio sia già passato, soprattutto sta lasciando la televisione generalista per rifugiarsi in finte isole protette fatte di sport, serie televisive, programmi ‘di qualità’ (qualsiasi cosa voglia dire) che non vengono ritenuti adatti ad un pubblico maggioritario. Cioè il pubblico della De Filippi e della D’Urso (tolta la nicchia snob che le segue al secondo livello di lettura, tutti massmediologi della mutua), proletariato senza coscienza di esserlo e con nessuna ambizione di migliorare nemmeno le proprie condizioni materiali, che già sarebbe un bell’inizio. Se nel 1980 Silvio sognava un’Italia liberale e liberista che forse non esisteva e che non sarebbe mai esistita, oggi Pier Silvio ufficializza la prevalenza di quella proletaria dentro, dove la proletarizzazione non è generata dalla fame (che ancora non c’è) o dai poteri forti, ma dal divano.

Share this article