The social dilemma, Netflix per apocalittici

13 Ottobre 2020 di Stefano Olivari

Esiste un documentario più brutto di The social dilemma, una delle cose di maggior successo su Netflix negli ultimi giorni? Probabilmente sì, ma non l’abbiamo visto. Mentre il lavoro di Jeff Orlowski l’abbiamo seguito con attenzione, perché il tema ci interessa, accompagnati da recensioni entusiastiche di amici e conoscenti che con The social dilemma avrebbero preso coscienza di tutti i rischi dovuti alla presenza dei vari Facebook, Twitter, eccetera, nelle nostre vite. Non esattamente un argomento nuovo, anche se lo schema scelto sembrava promettente: ex uomini e donne di successo della Silicon Valley a raccontare come un giocattolo nato per favorire interazioni e fare soldi sia sfuggito di mano ai suoi gestori.

Fra questi pentiti, in realtà un po’ ridicoli perché non sono nel mirino di nessuno ed anzi hanno quasi tutti fondato nuove start-up, il più presente è Tristan Harris, ex dirigente di Google, ma il più famoso è probabilmente Tim Kendall, ex Facebook e presidente di Pinterest, mentre le cose più interessanti sono dette dall’immaginifico Jaron Lanier (due anni fa abbiamo recensito uno dei suoi libri, Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social). In realtà nessuno lancia accuse precise: Zuckerberg e quelli come lui vendono i dati agli inserzionisti pubblicitari, certo, ma lo sa anche nostra nonna. Ad un certo punto addirittura, Harris si chiede: ma qual è il problema? A parte, ovviamente, quello di ore di vita buttate via ogni giorno in maniera demenziale…

Anche la madre di tutte le accuse, quella che i social facciano entrare in contatto con gente che già più o meno la pensa come noi, è senza senso se paragonata al passato. Domanda per chi è vissuto nell’era pre-digitale: andavate club per club, circolo privato per circolo privato, a cercare gente di idee politiche diverse dalle vostre, così, per il piacere del confronto? Siamo insomma all’eterna sfida fra apocalittici ed integrati (ma citare Eco è da apocalittici o da integrati?), fra intellettuali del genere ‘signora mia, che tempi di volgarità’ e borghesi ottusamente fiduciosi nel progresso.

Chiaramente in The social dilemma il pericolo di fake news ed in generale di disinformazione viene associato, per immagini, ai vari Trump, Bolsonaro e Salvini, secondo il teorema che il politico di sinistra può vincere soltanto se agli hacker russi tagliano la connessione. Divertente la trovata dell’Estremo Centro, che è chiaramente Destra Populista, e spaventoso nella sua banalità quando viene associato lo scendere in piazza al pericolo di essere arrestati (Messaggio poco subliminale: state a casa, ubbidite). In sintesi: Jeff Orlowski ci ha offerto qualche spunto di riflessione, ma meno di quanti ce ne abbia offerti Teresa.

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