La fine di Alan Minter

11 Settembre 2020 di Stefano Olivari

Alan Minter è morto di cancro, a 69 anni, e non è giusto ricordare questo campione soltanto come l’uomo che uccise Angelo Jacopucci, visto che il pugile italiano morì tre giorni dopo quel match durissimo per l’europeo dei pesi medi (vinto dall’inglese per K.O. al dodicesimo round, all’epoca il limite era quindici), ma durissimo come migliaia di altri nella storia della boxe, senza situazioni particolari se non una netta superiorità di Minter e qualche secondo di ritardo dell’arbitro nell’interrompere il match sul ring di Bellaria.

Minter nella sua ottima carriera ha avuto un’unica sfortuna: quando finalmente era arrivato a mettere le mani sul Mondiale, sia in versione WBC sia in versione WBA, dopo i due drammatici match con Antuofermo (drammatici soprattutto per Antuofermo, la cui maschera di sangue sarebbe oggi improponibile), comparve sulla scena Marvin Hagler, che lo distrusse alla Wembley Arena e che poi non se lo ritrovò più di fronte visto che il guerriero Minter già a trent’anni era arrivato al capolinea.

Il match fra Hagler e Minter fu più avvelenato della media, perché Hagler riteneva l’inglese molto fortunato ad essersi trovato contro Antuofermo (che aveva difeso il titolo grazie ad un pareggio scandaloso, al Caesars Palace, proprio contro The Marvellous) e si era creato una certa fama con frasi razziste (“Non stringo le mani ai bianchi”), con risposta dello stesso calibro da parte di Minter (“Non voglio cedere il titolo a un nero”), attirando alla Wembley Arena qualche decina di appartenenti al National Front che a fine match scatenarono un pandemonio. Una brutta pagina nella storia della boxe, con episodi di culto (uno skinhead aggredì Antuofermo, lì per la RAI, venendo ovviamente steso), oltre che la vera fine della carriera di Minter.

Amatissimo dal proletariato inglese, per quella sintonia fra campione e tifosi che a volte si crea magicamente (non è che gli altri pugili avessero un’estrazione sociale diversa), Minter non ha di fatto avuto un dopo boxe ed è per questo che è facile ricordarlo per sempre come un guerriero del ring e non come un intrattenitore con sempre nuove versioni degli stessi ricordi.

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