Il tiro da quattro, l’anno di Danilovic e Wilkins

9 Settembre 2020 di Stefano Olivari

L’azione più famosa nella storia del campionato italiano di pallacanestro, insieme al canestro annullato a Forti nel 1989 a Livorno, è probabilmente il tiro da quattro punti di Sasha Danilovic, che mandò al supplementare garacinque (all’epoca si giocava al meglio delle cinque, bei tempi anche in questo senso) della finale scudetto 1997-98 fra Virtus e Fortitudo Bologna.

Il canestro da tre diventò da quattro dopo il tiro libero supplementare concesso per un fallo molto discutibile, ai confini dell’inesistente, di Dominique Wilkins, fischiato dall’arbitro Zancanella. Non fu nemmeno l’ultima azione dei 40′ regolamentari, fra l’altro, anche se quanto accaduto dopo è confuso anche nei ricordi di chi c’era.

Poi la Virtus allenata da Ettore Messina vinse lo scudetto e fissò per sempre nella memoria una stagione pazzesca, in cui aveva vinto anche l’Eurolega dopo avere battuto i cugini in semifinale. Una stagione in cui fra Coppa Italia (conquistata dalla Fortitudo), Eurolega e campionato ci furono ben dieci derby bolognesi fra i club di proprietà di Alfredo Cazzola e Giorgio Seragnoli: ecco, in quel caso parlare di Basket City non è affatto una forzatura.

Questo e molto altro sono l’oggetto di Il tiro da quattro – Storia di un anno irripetibile a Basket City, il libro che Dario Ronzulli ha scritto per Edizioni In Contropiede e che abbiamo appena finito di leggere. Partendo da quella famosissima azione si racconta una stagione della pallacanestro italiana che già sarebbe sintetizzabile nei nomi di Danilovic e Wilkins: il boom degli anni Settanta e Ottanta si era saldato con gli investimenti nello sport di un’Italia ambiziosa che negli anni Novanta esisteva ancora, generando squadre che viste con gli occhi di oggi (ma anche con quelli di ieri) sembrano incredibili.

Il libro di Ronzulli, con prefazione di Walter Fuochi e Flavio Tranquillo, ha il merito di far rivivere quella stagione in stile giornalistico, senza storytelling e retorica. E la reazione di tutti gli appassionati pensiamo sia uguale alla nostra: quanto abbiamo sottovalutato quell’epoca, dandola per scontata, quando la stavamo vivendo in diretta… Come se fosse giusto ed eterno che imprenditori importanti buttassero via miliardi soltanto per ambizione personale, senza alcuna correlazione (nemmeno allora) con le entrate.

Non è un libro di parte, anche se è logico che un tifoso della Virtus ricordi quella stagione con maggior piacere di uno della Fortitudo. Fra l’altro quella versione della Virtus Bologna è stata l’unica squadra italiana contro cui abbiamo mai tifato, perché per quasi tutti gli anni Novanta ha rappresentato un potere ed un’arroganza quasi assurdi, con i media di settore tutti controllati da Cazzola e gli altri comunque condizionati.

Su tutto vincono i nomi. Virtus e Fortitudo. Kinder e Team System. Cazzola e Seragnoli. Messina e Skansi (ma la stagione l’aveva iniziata Bianchini). Danilovic e Wilkins. Rigaudeau e Rivers. Abbio e Myers. Savic e Fucka. Più Nesterovic, Chiacig, Morandotti (che pochi anni dopo sarebbe diventato il nostro editore), Moretti, Sconochini, Galanda, Binelli, Gay… Una pallacanestro italiana in grado di interessare anche i non tifosi delle due squadre in campo non tornerà più, anche perché il mondo intorno è cambiato.

Share this article