L’Italia di Jeda

20 Agosto 2020 di Gianluca Casiraghi

“Mi manda Careca” potrebbe essere lo slogan della carriera di Jedaias Capucho Neves, in arte e per tutti Jeda, attaccante brasiliano nato nel 1979 a Santarém, in piena Amazzonia, ma ormai almeno per metà italiano. È nel nostro paese dal 2000, vive in Brianza (a Biassono), ha acquisito la cittadinanza per matrimonio nel 2009 ed è il secondo marcatore straniero della storia della Serie B con 67 gol, dietro a Pablo Granoche, a cui aggiunge 30 reti in A. Una carriera molto interessante, che gli ha fatto conoscere tutti i livelli del calcio italiano, e di cui ha parlato con noi.

Fu il Torneo di Viareggio del 2000 giocato con il Campinas, società di proprietà dell’ex centravanti di Napoli e della nazionale verde oro e dell’altro ex calciatore Edmar, a spalancarti le porte del calcio italiano?
“Esatto. In realtà al Viareggio c’ero già stato nel 1999 con il Vitoria Bahia, però mi ero infortunato e la squadra era uscita agli ottavi con il Milan. L’anno dopo stavo giocando il campionato di Serie A dello Stato di San Paolo con l’Uniao Sao Joao, dopo una sola stagione nella Primavera, e Careca chiese al mio presidente il prestito per il Viareggio che doveva giocare con la Primavera del suo Campinas. Però ho rischiato di non andarci a quel Viareggio e, quindi, magari niente Italia e Serie A. Il presidente dell’Uniao Sao Joao aveva detto subito di sì, però poi avevo cominciato a segnare in campionato, non voleva perdermi per un mese e stava per cambiare idea e negare il permesso. Per fortuna non lo fece, aveva già dato la parola a Careca, il cui prestigio fu decisivo. La mantenne, la parola, e io venni in Italia per il Viareggio”.

Come andò quel torneo?
“Perdemmo in semifinale con la Fiorentina, che poi fu sconfitta in finale dall’Empoli. Arrivammo terzi battendo l’Inter nella finalina e io fui uno dei migliori giocatori della manifestazione. Tornai in Brasile per continuare a giocare nell’Uniao Sao Joao e a un certo punto il mio presidente mi disse che una società italiana mi voleva; soltanto qualche tempo dopo mi rivelò che era il Vicenza, che infatti mi acquistò nell’estate del 2000”.

Facciamo un passo indietro, anche in Brasile sei stato molto vicino a entrare nel grande calcio.
“Ho iniziato a 13 anni nelle giovanili del Santarém, la squadra della mia città, società allora semiprofessionistica, poi grazie alla segnalazione di alcuni miei ex compagni che si erano trasferiti a San Paolo, Eliseo, un famoso talent scout, mi fece provare per la Primavera del Corinthians. Giocavo con alcuni compagni che sarebbero diventati campioni del mondo di club alcuni anni dopo: Fernando Baiano, Edu, Kleber, Everton. Da lì iniziai a girare per il Brasile per altri provini e stavo per tornare a casa quando Eliseo mi fece andare all’Uniao Sao Joao: da lì partì tutto”.

Era un Vicenza appena risalito in serie A: come fu la prima esperienza nel massimo campionato italiano?

“Non finì bene perché il Vicenza retrocesse in B, personalmente fu invece una grande esperienza affrontare tanti campioni a soli 21 anni e con la gioia del primo gol in A segnato in uno stadio importante, l’Olimpico di Roma, nella partita contro i campioni d’Italia della Lazio. E allenato da un maestro come Edy Reja”.

Dopo il Vicenza inizia il giro d’Italia, che praticamente in 20 anni di carriera ti porterà quasi in ogni angolo del paese.

“In verità inizio l’anno con il Vicenza, ma non credevano in me e mi mandarono in prestito a Siena, sempre in B. Fu un campionato decisivo per la mia prima crescita di calciatore, e devo ringraziare mister Giuseppe Papadopulo che mi fece capire alla perfezione cosa voleva dire essere un professionista”.

E questa volta a Vicenza credettero in Jeda.

“Sì, rientrai per vestire ancora il biancorosso e pur con una squadra giovanissima fu un anno e mezzo positivo. A gennaio 2004 passai al Palermo in una formazione fortissima, basta citare il nome di Corini: vincemmo il campionato di B e riportammo in A i rosanero dopo trent’anni. Rientrai alla base al Vicenza, l’aria stava cambiando e decisi di andarmene e la stagione 2004-2005 è divisa tra Piacenza e Catania, con la fortuna di aver incontrato in Emilia mister Beppe Iachini, uno dei migliori tecnici avuti in carriera e anche una grande persona. Poi la svolta nell’estate del 2005 con il passaggio al Crotone”.

Dal 2005 al 2011, è il periodo senza ombra di dubbio più denso di soddisfazioni.
“Sono andato al Crotone e ho avuto la fortuna di incontrare come allenatore Gian Piero Gasperini, che aveva una grandissima fiducia in me e con lui feci un altro salto di qualità. Gioco tutte le partite in B, 42, segno 15 gol e sfioriamo i playoff”.

Gasperini è l’allenatore del momento con la sua Atalanta dei miracoli, raccontacelo un po’.

“È un allenatore preparatissimo, tutto quello che sta ottenendo con l’Atalanta è più che meritato. Sicuramente non ha un carattere semplice e questo probabilmente è il suo limite”.

Da Crotone risali l’Italia e ti accasi al Rimini, una squadra che probabilmente poteva fare di più di quello che fece.

“Era un Rimini costruito per tentare la scalata alla Serie A ma le cose non andarono per il verso giusto, personalmente però furono due stagioni buone”.

L’esordio nel Rimini nello stadio di casa fu addirittura con la Juventus, retrocessa per illecito sportivo, per la prima volta nella sua storia in Serie B. Te lo ricordi?

“Certo! Nella settimana prima della partita commentavamo tra di noi come sarebbe stato incontrare una squadra piena di campioni del Mondo e di altri calciatori straordinari e che magari avremmo potuto sorprenderli perché erano finiti a giocare in un campionato e in un ambiente diverso. Infatti, abbiamo rischiato di fare il grande colpo e finì 1-1. Per Rimini e il Rimini fu un evento penso irripetibile”.

Dopo tre ottime stagioni nel campionato cadetto ritrovi la Serie A, come andò?

“Al Rimini con la scomparsa del presidente le cose stavano cambiando e per fare cassa mi vendettero al Cagliari dove non c’era una situazione troppo rosea, c’era il rischio di retrocedere. Al Cagliari c’era come allenatore Davide Ballardini e grazie soprattutto alla sua capacità di fare gruppo raggiungemmo una salvezza incredibile”.

Altri due anni a Cagliari da protagonista, con 19 gol che con i 3 della prima mezza stagione portano le tue reti in rossoblù a 22, e con un altro guru come allenatore, Massimiliano Allegri che dalla Sardegna spiccherà il volo verso i successi con il Milan e la Juve.

“Allegri, nei due anni che mi ha allenato, aveva già mostrato la sua eccellente qualità di gestore di uomini, capace di trovare sempre la soluzione migliore per ogni partita. Anche per lui, come per Gasperini, il futuro si capiva che sarebbe stato pieno di soddisfazioni”.

Nel 2010-2011 sei al Lecce, ancora Serie A e una splendida salvezza. “Altra soddisfazione per il contributo alla salvezza della squadra salentina con 4 reti, sotto la guida di De Canio”.

L’ultimo campionato In A lo giochi nel neopromosso Novara e non va benissimo.

“Fu un’annata frenetica, partiamo con Tesser allenatore, poi il veloce intermezzo con Mondonico e dopo ancora Tesser, ma non servì per salvarci”.

A questo punto fa una scelta non da tutti, scendere di due categorie sino alla Prima divisione per rigiocare nel Lecce.

“I giallorossi erano retrocessi in B sul campo e poi erano stati mandati in Prima divisione per illecito sportivo, squadra costruita per la promozione ma gli infortuni nel finale di stagione, tra cui quello al retto femorale del sottoscritto, ci portano alla sconfitta nella finale playoff col Carpi. Un infortunio che mi portò a fare alcune considerazioni sulla mia carriera”.

Quali?

“Avevo capito che difficilmente avrei potuto restare tra Serie A e B, andai al ritrovo dei calciatori disoccupati della C e poi firmai un contratto con la Pergolettese, nell’ultima stagione della Seconda divisione. E dall’anno successivo scelsi di scendere tra i dilettanti”.

E anche tra i dilettanti giri mezza Italia.

“Parto nel 2014 in Piemonte con l’Acqui in D, Nuorese e Potenza nella stessa categoria, Casarano nell’Eccellenza pugliese e nel 2016 mi avvicino a casa, un anno al Seregno in D e poi firmo per la Vimercatese Oreno nell’Eccellenza lombarda”.

A Vimercate avrai anche la tua prima esperienza di allenatore.

“Avevo preso il patentino Uefa B quando giocavo nella Pergolettese e la società mi chiese di diventare allenatore nel 2018. Purtroppo non è durata molto, già nel girone d’andata dopo una sconfitta casalinga la società decise di esonerarmi, l’aria stava cambiando, se ne era appena andato anche il ds Alberto Colombo e ho avuto poco sostegno”.

A causa dell’esonero hai deciso di ritornare a fare il calciatore?

“No, prima cosa sono convinto che se mi avessero rinnovato la fiducia avrei portato in salvo la squadra e forse avremmo fatto anche qualcosa in più. È stata, comunque, una prima esperienza in panchina che mi ha fatto capire che posso essere allenatore, però ho anche compreso che non mi ero ancora slegato completamente dalla mentalità di calciatore e questa è una cosa fondamentale per chi vuole allenare. Ero ancora in forma e nell’estate del 2019 ho accettato l’offerta del presidente del Muggiò per giocare in Promozione”.

Ci sarai anche quest’anno?

“Il presidente stava per chiamarmi per confermarmi e io l’ho anticipato dicendogli che volevo indossare ancora la maglia del Muggiò, a giugno prossimo vedremo”.

Adesso tre domande secche: l’allenatore con cui ti sei trovato meglio; il compagno preferito; l’avversario più forte che hai affrontato.

“Mi sono trovato bene con tanti allenatori, però se ne devo scegliere uno dico Ballardini, grande allenatore e uomo notevole; avevo un ottimo rapporto con lui, c’era sempre quando avevi bisogno, mi coinvolgeva in questioni tecniche, e per merito di questa coesione tra noi giocatori e lui conquistammo una salvezza incredibile. Il compagno di una carriera è Ricchiuti, con me per due anni al Rimini, una strana coppia, lui argentino, io brasiliano, con un’intesa magnifica sia fuori sia in campo. Al mio arrivo a Rimini è stato uno dei primi che ho conosciuto e con lui mi sono trovato subito benissimo. Di avversari fortissimi ne ho affrontati tanti, Maldini, Nesta, Cordoba, Samuel, per fare solo alcuni nomi, però il migliore per me è Thiago Silva; in Brasile mi avevano parlato benissimo di lui, visto in campo a Lecce in un 1-1 con reti di Olivera e Ibrahimovic, mi è sembrato ancora meglio, veloce, pulito negli interventi, un difensore fantastico”.

Nel 2021 compirai 42 anni e 21, esattamente la metà, gli avrai trascorsi in Italia, ti senti più brasiliano o italiano?

“Sono esattamente diviso a metà, sono nato in Brasile, ho trascorso la giovinezza lì, poi quasi tutta la carriera l’ho svolta in Italia, ho sposato un’italiana e mio figlio è nato qui, quindi dico 50 per cento brasiliano e 50 italiano”.

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