Juventus fuori dalla Champions, il fallimento di Agnelli

8 Agosto 2020 di Stefano Olivari

La Juventus è stata buttata fuori dalla Champions League agli ottavi di finale dal Lione, all’ultimo conteggio (parziale, vista la stupida fretta dei francesi nello stoppare la stagione) la settima squadra della Ligue 1. È solo una curiosità, perché la settima squadra della Serie A è il Napoli, che su una singola partita o in una coppia di partite con la Juventus se la può giocare. Veniamo al punto: l’aver mancato, e di tanto, il primo obbiettivo stagionale è un fallimento imputabile al 100% ad Andrea Agnelli e, dal punto di vista operativo, ai suoi dirigenti, Paratici e Nedved su tutti. Ci sembra giusto dirlo, visto che di Agnelli sono anche i meriti di questo ciclo.

Ricordato che il fallimento non è un concetto assoluto, ma è sempre in proporzione al budget e agli obbiettivi, entriamo nel merito di una stagione che si è conclusa con il linciaggio mediatico di Maurizio Sarri, che già da settimane aveva avuto il via libera ed era stato portato avanti da media e giornalisti che seguono la Juventus, che raramente nella storia si sono distinti per aggressività. Ecco, Sarri ci sembra il meno colpevole di tutti anche se il suo esonero in questo momento appare probabilissimo e avrebbe anche un senso, comunicando al mondo il nome del colpevole.

Invece il colpevole è chi ha zavorrato la rosa con mezzi giocatori, mezzi a livello Juventus, strapagati e sopravvalutati tecnicamente, da Rabiot a Ramsey a Danilo, senza riuscire a liberarsi di quasi nessuno degli scontenti, Higuain su tutti, o dei logori alla Pjanic. Non dimentichiamo che questi grandi programmatori avevano fatto di tutto per vendere Dybala, poi risultato fino a quando è stato sano il migliore nella stagione bianconera. Il problema era quindi Mandzukic?

Poi si parla fino allo sfinimento di Cristiano Ronaldo, ma il portoghese quando conta c’è sempre ed anche in declino, come è ovvio a oltre 35 anni, rimane un giocatore che con un supporto decente la Champions League te la fa alzare. Cosa può fare più di segnare e creare il panico con la sua sola presenza? Insomma, impossibile parlare male di uno dei più grandi attaccanti nella storia del calcio. Crede di avere più chance di alzarla, la Champions, nel 2021 con il Paris Saint-Germain e con il suo progetto di Dream Team? La risposta è sì, ma è sbagliata.

Paratici e Nedved hanno chiuso il quinquennio di Allegri (a proposito, fra lui e Conte chi starà godendo di più?), Sarri è stata una scelta di Agnelli per dare un segnale di novità e di ‘gioco’, qualsiasi cosa voglia dire. Peccato che gli sia stata messa in mano la rosa meno sarriana possibile, per età, caratteristiche e motivazioni. Senza contare l’equivoco Barzagli, risolto fuori tempo massimo, e la penosa invadenza di Buffon, che anche ieri senza un vero perché ci ha messo la faccia. È sicuro che la Juventus 2020-2021, con Arthur, Romero, un De Ligt molto più sicuro dopo gli inizi alla Rugani, un Demiral risanato, Kulusevski, magari anche Felix Correia e qualche altro giovane, sarà una squadra da Sarri e questo rende ancora più gravi gli errori della dirigenza in questa stagione.

Il Maestro, che adesso i giornalisti della casa trattano come un bidello, sul piano strettamente tecnico dovrebbe secondo noi rimanere perché la prossima Juve sarebbe vicina alle sue idee, ma non accadrà. Perché oggi tutto è comunicazione. Certo lui da quando la Lazio è crollata ha semplicemente smesso di allenare, entrando in quella modalità dispettosa e presuntuosa (esempio extra-Juve: Conte che rende Eriksen riserva di Borja Valero) che molti tecnici italiani hanno nel DNA. Palla a Cristiano Ronaldo, o a Dybala quando è sano, poi spiegatemi perché avete voluto me al posto di Allegri.

Quanto al vincere o non vincere la Champions, è un discorso becero sia dal lato del giornalismo celebrativo sia da quello del ‘vincere è l’unica cosa che conta’. Può vincerla Di Matteo in due mesi o non vincerla Guardiola per un decennio, all’interno di quel gruppo di dieci club di élite che stanno ammazzando il calcio tutto dipende troppo dai momenti e dalle situazioni. Certo sarebbe bello che a questo giro la vincesse l’Atalanta, per ricordarci l’esistenza del diritto sportivo e non per il solito pistolotto sulle squadre italiane: l’Atalanta è italiana quasi quanto il Lione.

Conclusione? L’arroganza alla Nedved con cui è stato celebrato il trentaseiesimo scudetto, peraltro come molti dei precedenti vinto contro nessuno (come del resto accade a PSG e Bayern Monaco, la Juventus i problemi in campionato può solo autocrearseli), il controllo quasi militare dei media e non solo di quelli di proprietà (Sky imbarazzante), il servilismo di tanti club e addetti ai lavori, la marcatura politica a uomo non appena qualcuno alza la testa (basti vedere le difficoltà nel costruirsi uno stadio, da Firenze a Roma), il far parte di un gruppo finanziario che ha sempre socializzato le perdite ai danni dello Stato, rende tre quarti d’Italia felice per questo fallimento di Agnelli.

Questa è la verità, fuori dai giri di parole, visto che il tifo ‘contro’ è la base del successo del calcio, settore ben diverso dall’entertainment propagandato dai giornalisti-commercialisti CEPU che si esaltano parlando di brand e follower, sdottorando di business plan quando alla fine siamo sempre al ricco che ci deve mettere i soldi, da Agnelli in giù, e che vuole vincere. Ma le distanze della Juventus con il resto della concorrenza italiana sono ancora enormi, bisogna dirlo visto che per Bonucci l’obbiettivo principale era lo scudetto.

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