Conte e il dipendente schiavo

4 Agosto 2020 di Stefano Olivari

Il dipendente è uno schiavo? Le discussioni sul futuro di Antonio Conte all’Inter hanno avuto come premessa una sorta di pensiero unico dei media ma soprattutto del pubblico, con poche eccezioni (se no che pensiero unico sarebbe?). In sostanza anche chi ritiene giuste le critiche di Conte ai dirigenti dell’Inter pensa che queste parole siano state inappropriate, in quanto un dipendente non può esprimere un pensiero difforme rispetto alla linea dell’azienda.

Ci sono avvocati che sostengono la tesi che Conte possa addirittura essere licenziato per giusta causa. Nel paese dei dipendenti assenteisti, dei malati immaginari, dei ladri ai danni della propria azienda (tanti giornalisti di primarie testate, colti a rubare sulle note spese, non hanno avuto problemi), gli unici reati perseguibili sembrano così essere quelli di opinione. Nel calcio poi questo discorso si salda alla beceraggine dei tifosi, in qualche caso minorati mentali che elogiano l’arroganza della società (di tutte le società) contro presunti nemici interni ed esterni.

C’è anche un discorso più sottile ed insidioso, cioè il dare per scontato, sia da parte dei lavoratori dipendenti sia da parte di quelli autonomi, che il contratto di lavoro dipendente sia una sorta di premio, con cui l’azienda (o lo Stato) scambia la sicurezza del posto e dello stipendio, contro ogni logica economica o valutazione delle capacità del singolo, con la perdita della libertà di pensiero. Una perdita notevole, visto che il lavoro occupa tre quarti della vita delle persone e confinare il diritto di critica ai film e ai ristoranti è un po’ poco. Il dipendente è uno schiavo?

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