Trappola per Ben Johnson

31 Luglio 2020 di Stefano Olivari

Ben Johnson è nel linguaggio comune quasi sinonimo di doping, nonostante quasi tutti gli 8 finalisti dei 100 metri alle Olimpiadi di Seul fossero o siano poi stati legati a vicende di doping. Per questo 9,79 – 100 metri di vergogna è un documentario da vedere, attualmente è in programmazione su Sky Sport e a maggior ragione si trova sull’on demand.

Girato nel 2012 da Daniel Gordon e prodotto da ESPN (titolo originale 9.79*) , il documentario è basato su The dirtiest race in history, il bellissimo libro di Richard Moore (molto duro con Primo Nebiolo, fra l’altro), e strutturato su interviste parallele agli 8 finalisti: Ben Johnson e Carl Lewis dominano la scena, ma sono molto interessanti anche le parole di Calvin Smith e Desai Williams, oltre a quelle di Ray Stewart, Robson da Silva, Dennis Mitchell e Linford Christie.

Il più avvelenato, a decenni di distanza, è giustamente Smith, ex primatista mondiale con 9″93 (nel 1983 aveva battuto il record di Jim Hines che durava da 15 anni): con un antidoping serio la medaglia d’oro sarebbe andata a lui, con l’argento a Da Silva e il bronzo a… nessuno. Di certo Johnson era per i media generalisti un ottimo ‘cattivo’.

Le due vicende più clamorose sono la positività all’efedrina di Carl Lewis ai Trials statunitensi in vista di Seul e soprattutto il ruolo di Andre Jackson, conoscente di entrambi e presente nella saletta dell’antidoping: la tesi del libro, più che del documentario, è che Johnson fosse dopato ma non per le sostanze poi trovate a Seul. In altre parole sarebbe stato incastrato, per riportare in alto il più mediatico Lewis, che nel documentario appare impostato in maniera imbarazzante.

Tutto può essere, ma è difficile che la IAAF abbia ordito un complotto contro il canadese di origine giamaicana (anzi, fino a 14 anni proprio giamaicano) che ha distrutto una rivalità che faceva la fortuna di tutti, ma principalmente dell’atletica mondiale. Verosimile, che non significa vera, l’intenzione degli statunitense di far cogliere in flagrante Johnson, probabilmente condannato in maniera giusta ma per un test sbagliato.

Nel documentario esce in fondo bene la figura di Charlie Francis, l’allenatore di Johnson, dei cui metodi aveva scritto proprio su Indiscreto il professor Vittori. Francis operava senza problemi ai confini del doping, però mai avrebbe messo a rischio la carriera di Johnson, che a un certo punto mettendosi nelle mani del dottor Astaphan volle esagerare. L’aspetto curioso di tutta la vicenda, ripetiamo, è che Johnson fu incastrato per uno steroide anabolizzante, lo stanozololo, che non assumeva, mentre ne usava (come ammesso da Francis) altri. Una finale sporca, in ogni senso, ma i primi 20 metri di Johnson sono qualcosa che mette i brividi anche alla centesima visione.

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