L’addio di Paolo Maldini

8 Luglio 2020 di Indiscreto

Paolo Maldini lascerà il Milan entro un mese, a meno di quei clamorosi ripensamenti che nel calcio, scienza non esatta (ma sempre più della virologia), ci possono sempre stare. Non si capisce, e non lo capisce nemmeno lui, perché dovrebbe fare il tagliatore di nastri per Singer e Gazidis dopo essersi rifiutato orgogliosamente per anni di farlo per Berlusconi e soprattutto Galliani. Il clamoroso 4-2 del Milan sulla Juventus potrebbe quindi essere stato l’ultimo suo grande ricordo rossonero da protagonista.

La domanda è una sola: tenendo duro e ingoiando qualche rospo (leggere di “ruolo alla Nedved“, ad esempio, qualsiasi cosa voglia dire) Maldini potrebbe diventare quel grande dirigente che non è, a 52 anni? Secondo noi no, visto che a 11 anni dal ritiro non sembra avere abbandonato lo status di fuoriclasse che prende qualsiasi critica come lesa maestà, sia pure rispondendo con un’educazione che nel calcio è quasi sconosciuta.

Ma fare il dirigente e anche l’allenatore è diverso, bisogna pensare con la testa di 30 persone diverse, che oltretutto ritieni, anche se non glielo dici in faccia è evidente) tutte inferiori a te sotto ogni profilo: hanno vinto di meno, capiscono di meno, sono anche più brutti. Qualcuno ci riesce, ma sono eccezioni: non ce lo vediamo Maldini a condurre il Benevento in Serie A, ma nemmeno ad entusiasmarsi per il Monza dopo avere vinto cinque Champions League con il Milan.

Le parole pronunciate prima di Milan-Juve lasciano aperte varie possibilità, ma il finale sembra già scritto. Per la gioia di Galliani, che sulle cosiddette ‘bandiere’ e su Maldini in particolare ha idee molto più forti delle nostre, ricambiato dal figlio di Cesare che da parte sua era e rimane convinto che il costruttore di 30 anni (facciamo 25) di successi rossoneri non capisca di calcio. E Rangnick?

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