A casa di Giulia Maria Crespi

21 Luglio 2020 di Stefano Olivari

Giulia Maria Crespi è morta a 97 anni, facendo scoprire all’Italia una sconvolgente realtà: il 99% dei giornalisti frequentava la sua casa di corso Venezia, a Milano, ed era sua confidente. Questo almeno è ciò che emerge dai coccodrilli letti un po’ ovunque, in cui oltre all’impegno per l’ambiente e per la conservazione del patrimonio artistico (di solito ville di ricchi come i Crespi) si è scritto dei suoi anni da proprietaria del Corriere della Sera.

Con anche i suoi tanti ammiratori che ricordano come episodi clou della sua sfortunata vita da editrice la cacciata di Spadolini, l’ingaggio di Piero Ottone e soprattutto l’addio di Indro Montanelli per andare a fondare il Giornale. Un po’ come un presidente del Santos che fosse ricordato per avere cacciato Pelé. Tutto questo prima di vendere il Corriere della Sera, malissimo gestito, a ricchi con più pelo sullo stomaco di lei, come Agnelli e Moratti.

Ma al di là di questo, gli articoli e i servizi di questi giorni, pieni di involontaria comicità (nemmeno Fantozzi avrebbe elogiato i due Canaletto appesi all’ingresso), ci hanno fatto riflettere su una deformazione ideologica dei media, che vale soprattutto a sinistra ma in parte anche a destra: i ricchi e i poveri sono i punti di riferimento assoluti, senz’altro quelli ritenuti degni di essere raccontati. La classe media invece è da sfottere e disprezzare, nella migliore delle ipotesi da educare.

Il problema è che la classe media esprime il pubblico dei… media e anche l’estrazione sociale di quasi tutti quelli che ci lavorano: in altre parole, il giornalista vorrebbe tanto far parte di mondi che non sono i suoi e del resto la fantasia è uno dei requisiti principali per questo mestiere. Non si capisce quindi perché elogiare come editrice una come Giulia Maria Crespi, che per sua stessa ammissione disprezzava il pubblico tradizionale del Corriere della Sera, quella borghesia liberale spesso inconsapevole di essere borghesia liberale, e voleva educarlo.

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