Capello o Bergomi?

19 Maggio 2020 di Indiscreto

Il calcio italiano può stare in ritiro perenne? Lo scontro verbale, avvenuto a Sky, tra Fabio Capello e Beppe Bergomi riflette due diverse visioni della ripartenza, ma oseremmo dire anche del mondo. Capello che dice che un ritiro prolungato è poca cosa se si pensa a chi ha perso il lavoro, Bergomi che dice che si sottovaluta l’aspetto psicologico e che sul calcio si fa facile demagogia.

Visto il passato di Capello e Bergomi, è chiaro che entrambi sanno di cosa stanno parlando. Curioso è che entrambi, per motivi generazionali (Capello è del 1946, Bergomi del 1963) uno più dell’altro, abbiano vissuto l’epoca dei lunghissimi ritiri estivi e anche quella dei ritiri punitivi dei calciatori-oggetto durante la stagione, un passato che Aurelio De Laurentiis forse rimpiange (o forse no, visto che ha assistito alla sua prima partita di calcio a 50 anni suonati). Non si può dire che quei ritiri facessero bene, ma nemmeno che qualcuno sia mai morto per qualche giorno in più lontano dalla famiglia (anzi).

Detto questo, è evidente che se si vuole chiudere questa stagione con un minimo senso sportivo il ritiro prolungato è l’unica strada per limitare i rischi da contagio: se persone giovani e sane stanno fra di loro non potranno che averne benefici. Si torna a Capello e Bergomi: il calciatore diverso da un comune mortale, nel bene e nel male, oppure il calciatore che prima di tutto è una persona? Capello o Bergomi? Come al solito il calcio non è solo calcio, perché anche in altri campi non si potrà in alcun caso tornare alla vita di prima con le stesse garanzie di prima: a qualcosa (salute, lavoro, libertà, socialità) bisognerà almeno in minima parte rinunciare.

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