I ragazzi del ‘99

27 Aprile 2020 di Oscar Eleni

Oscar Eleni lontano dai gatti selvatici che infestano, insieme ai topi, la riserva di cielo scuro nel Pacifico, un luogo privo di inquinamento luminoso. Vedi soltanto le stelle. Magari. Il contrario di quello che succede qui. L’ordine è tenersi a distanza, meglio se hai a che fare con gente stupida, bambini dell’asilo che fanno dispettucci da dozzina, leccapiedi a servizio permanente. Nomi? Lista lunghissima. Meglio fingere che non ci siano anche se poi li trovi ovunque: comici i momenti di “democrazia” televisiva dove tutti possono dire le stesse cose che illuminano il cielo di Trump.

Ci hanno chiuso su Repubblica il diario geniale di Rumiz. Nel lasciarci ha detto quello che temono tutti: saremo peggio, più poveri, di tutto. Vero. Lo siamo già mentre condomini infuriati minacciano medici ed infermieri che tornano a casa per riposare. I delatori prendono a pugni chiunque: le facce, la ragione. Le regole intorno a noi pesanti, mai leggere, confuse, mai chiare come dovrebbero essere nell’emergenza. Meglio fumo negli occhi, più utile stare sul vago. Esperti del nulla, politici da balcone pericolante. Hanno messo fango persino sulla giornata che ricordava la Liberazione e stanno per far diventare  guerra di religione questa necessità di non stare troppo vicini, quindi anche in Chiesa.

In un clima del genere perché stupirsi se nello sport prendono a calci, se la famosa politica disinfettata dallo sport, ricordato quando serve fare cassa o trovare voti, guarda sgomenta all’incompetenza. Non soltanto ministeriale. Ci fanno paura. I nuovi, i paracadutati, ma anche certi presidenti federali, alcuni dirigenti che pontificano e scarnificano ogni cosa.

Sarebbe il momento per i capi delle organizzazioni che hanno una base professionistica o quasi di fare una rivoluzione decisa. Sarà anche vero che alzare barriere, limitare il numero di tesserati provenienti da federazione straniera, farà lievitare gli stipendi di quelli educati in casa, purtroppo non tutti avranno gli stessi diritti, come direbbero in casa Tam Tam, ma almeno i soldi resterebbero qui dove ce ne saranno davvero pochissimi quando e se riprenderà l’attività con cadenze regolari.

Il basket dovrebbe pensarci e questi giorni di quarantena che potrebbero durare due anni, ore di solitudine che aiutano perchè i giornali cosiddetti sportivi si arrampicano su ogni specchio per riempire e quindi via coi ricordi, guarda caso nella pallacanestro, con squadre Nazionali e club vincitrici di coppe che  avevano davvero tanti giocatori nostri di buona qualità. Ultimo saggio la rimonta Tracer su Salonicco da meno 31 a più 34, con Barlow e McAdoo come stranieri, D’Antoni come luce riaccesa qui, dopo le delusioni NBA, sette italiani sette. Succede se ci lavori, se passi più tempo in palestra che al telefono con i criceti lamentosi, se pensi davvero  che costruire un giocatore deve costare fatica a tutti: dalla società al tecnico.

Nei giorni del lutto, mentre ci lasciano amici carissimi, abbiamo provato un senso di vuoto vero quando se ne è andato Franco Lauro che, per fortuna sua, ha avuto, quello che sognava, sia da chi fingeva di essergli amico in RAI e fuori, sia da quelli che con stile hanno saputo dirgli la verità perché in troppi pensavano di saperne più di lui, anche chi non aveva mai messo piede su un campo. Nelle grandi “famiglie” giornalistiche, tipo Gazzetta, ti paracadutano dove fa comodo, dove si è fatto uno spazio. Mura al Giro neppure ventenne, noi, classe’44, all’europeo di atletica di Helsinki nel 1971. Poi tocca a te guadagnarti quel pane. Lui ci ha provato davvero e dove non arrivava lasciava spazio a quelli che si era scelto come compagni di viaggio competenti.

Pensando a questo ci è venuto in mente il viaggio magico fatto in Francia per l’europeo del 1999 vinto dall’Italia con gente cresciuta nei nostri vivai, persino Fucka,  angeloazzurro di Kranj, sloveno, ma istruito bene nelle palestre triestine dalla coppia Tanjevic-Boniciolli, purtroppo dissolta nell’incomprensione generazionale e nel ponentino romano. In quell’europeo il gioco delle parti e della vita ci aveva fatto tornare professionalmente al punto di partenza o quasi, insomma un  gioco dell’oca perché tirando i dadi ci eravamo trovati alla deriva sul brigantino della Voce, l’ultimo sogno di Montanelli prima che le quinte colonne imbarcate facessero saltare la stiva, i sogni, tutto quello che avremmo voluto fare difendendo il diritto giornalistico al contropotere. Grazie a Sconcerti, una pausa negli sfortunati incontri con gente di poca qualità, avevamo trovato spazio al Corriere dello Sport, accolti bene il primo giorno, poi lasciati senza maschere anti gas mentre volavano stracci. Quel viaggio sembrava già finito ad Antibes, ma, come ricorda Mamoli nel suo bel lavoro su quell’oro,  l’isola Myers trovò sollievo nello scoprire che  per fare squadra serviva credere anche negli altri e, grazie a De Pol e Meneghin, la prima barriera corallina slava fu superata.

La seconda fase si svolgeva a Le Mans e noi, inguaribili amanti delle scarpette rosse, andavamo raminghi cercando tracce di Arturo Kenney inciampando in un bell’albergo e in un ristorante che era ancora migliore. Mentre la Lituania ci faceva del male, ma lasciandoci in vita, abbiamo scoperto Franco Lauro come avrebbe sempre voluto essere: un uomo orgoglioso, magari anche ambizioso, ma con una sua anima candida, una gentilezza che non pensavamo possedesse. Bisogna dire che il vero protagonista di quelle serate fu Dado Lombardi, scelto come spalla tecnica, perché sotto quelle stelle francesi riscoprimmo il nostro D’Artagnan livornese, uno che guadavamo sempre con sospetto, dai la palla a me, non azzardarti a tirare, uno che ci faceva litigare coi sui tifosi più accaniti, i Bonaga in testa, fino all’alba, dal Pala Dozza ai tornei estivi di Rimini, uno che a Venezia, dove eravamo andati per uno spareggio fra la Fortitudo e la squadra del barone Sales, fu compagno amatissimo alla scuola allenatori di Guerrieri e poi al clinic romano con Carnesecca. Ingenuamente tirati in mezzo ad una partitaccia di carte, dove Dado e Angelini sapevano mandare in confusione l’incompetente, ci trovammo indebitati per una cifra che non avevamo. Per fortuna vigilava su di noi il Papa Parisini, per fortuna alla guida di quella Fortitudo c’era Beppe Lamberti altro compagno di notti insonne a parlare di tutto, magari pure di basket, anche se lui, sull’argomento, non ammetteva troppe contradizioni. Generale straordinario. Uno che ha costruito davvero. Uno che servirebbe anche adesso.

A Le Mans, però, Lombardi fu straordinario, fingendo persino di  aver preso nota di certe idee che arrivavano dai commensali. Attore straordinario. Istrione. Geniale. La serata era in chiaro scuro, Sabonis, la legnata, Parigi dove avrei dovuto anche scrivere di atletica, dove per colpa sua feci a piedi dal centro fino a Bercy, dimenticando che il metrò ad una certa ora chiudeva.

Era la notte dei ricordi, lui per i Giochi di Roma, da primi cinque al mondo da ragazzo prodigio, poi Mosca, Nantes, Parigi  che avrebbe regalato a Recalcati il gruppo per l’impresa svedese, bronzo europeo, il capolavoro di Atene, argento olimpico. Giocatori nostri, scuola nostra. Formammo la lega dei difensori di una fede da martirio. Forse questi sono i giorni per  ricrearla. Basterebbe un po’ di coraggio. La Lega in mutande sarebbe costretta  a dire sì, non è il massimo costringere, ma se la gente non capisce e straparla allora è meglio imporsi.

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