Coronavirus, la profezia di Sylvia Browne

10 Marzo 2020 di Indiscreto

L’epidemia di coronavirus era ampiamente prevedibile, stando ai tanti scrittori e sensitivi che l’avevano pronosticata con anni di anticipo, ormai in numero superiore agli spettatori di Milan-Cavese. Non passa infatti giorno che non venga tirato fuori qualche oscuro romanzo con qualche riga dedicata al dilagare di virus e polmoniti intorno al 2020. Fra i tanti ci ha particolarmente colpito il caso di Sylvia Browne, non perché nel 2008 avessimo letto il suo ‘End of days’ (che poi è un insieme di profezie, non un romanzo), ma perché la Browne è, anzi era perché è morta nel 2013, un personaggio molto famoso negli Stati Uniti.

A metà strada fra la telepredicatrice (nel 1986 fondò anche una sua chiesa, in California), la medium (asseriva di aiutare l’FBI nelle indagini sugli scomparsi ed in qualche caso è avvenuto sul serio), la scrittrice (innumerevoli i successi) e il personaggio pop-trash del quale i corrispondenti che copiano solo dal New York Times non intuiscono le potenzialità, la Browne aveva ipotizzato che entro il 2020 tutti avremmo girato in guanti e mascherina a causa di un’epidemia di qualcosa paragonabile alla polmonite. Con il contagio che si sarebbe interrotto all’improvviso, per poi riprendere dopo 10 anni di sonno. Quindi i trader di Borsa dovrebbero nel 2029 mettersi a shortare come se non ci fosse un domani…

È ovvio che i romanzi, ma anche i saggi, ambientati nel futuro le sparano così grosse che prima o poi qualcuna ne prendono (citatissimo in queste ore anche Dean Koontz, che diversamente dalla Browne è un romanziere), ma questo non toglie che l’interconnessione del mondo del 2020 renda questi scenari molto probabili e quella del 2030 (quando magari un ragazzo di Wuhan potrà essere a Coumayeur in 20 minuti) quasi sicuri. Ma non è che l’assenza di collegamenti abbia salvato la popolazione dalle grandi pestilenze della storia, va ricordato. Laviamoci le mani e stiamo in casa, ma senza ipotizzare la fine del mondo.

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