Chiuditi nel cesso, per fermare il coronavirus

23 Marzo 2020 di Stefano Olivari

Chiuditi nel cesso è una delle tante canzoni degli 883 che sappiamo a memoria, forse la più politica, anche se dal punto di vista generazionale il nostro manifesto è Rotta per casa di Dio. Essendo difficile sentirla dal vivo il prossimo 11 luglio, per il programmato concerto di Max Pezzali a San Siro, ci faremo bastare i dischi e i ricordi.

Chiuditi nel cesso è l’unico singolo dell’album Remix ’94 e in quello stesso 1994 partecipò al Festivalbar (vinse un Umberto Tozzi minore, con Io muoio di te, nell’estate di Corona, non virus, e di The Rhythm of the night), ma soprattutto è l’ultima canzone pubblicata dagli 883 prima della separazione fra Max e Mauro Repetto. Separazione civile come quella fra George Michael ed Andrew Ridgeley, ma non per questo meno dolorosa per noi loro coetanei e ascoltatori.

Chiuditi nel cesso non parla di coronavirus e nemmeno di epidemie, ma di tutte le paure che costituiscono una scusa per barricarsi in casa ed in generale per chiudersi. ‘Quasi vuoi far blindar la Uno per i nordafricani ai semafori‘ e ‘E poi chiami l’amministratore perché quel tuo strano vicino fa la porta di un colore diverso e per il condominio è un casino‘ le frasi di culto, quasi come il ritornello: ‘Chiuditi nel cesso, lì vedrai nessuno ti toccherà – Però fallo adesso, se no l’uomo nero ti prenderà – Chiuditi nel cesso, porta dentro tutta la tua realtà – Però fallo adesso, se no prima o poi qualcuno entrerà‘.

Un testo che qualcuno potrebbe definire di sinistra, se Max non la pensasse in tutt’altra direzione. Una canzone che ci è venuta in mente sentendo parlare di distanziamento sociale come qualcosa di sano ed auspicabile. La salute e le nostre inutili vite sono pretesti socialmente accettabili non soltanto per chiuderci, in fondo chi se ne frega se ci chiudiamo, ma anche per applaudire a misure autoritarie che rassicurano molti.

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