La seconda guerra fredda: Stati Uniti, Cina e la trappola di Tucidide

25 Gennaio 2020 di Stefano Olivari

Stiamo vivendo, e neppure troppo da lontano, la seconda guerra fredda della storia: da un lato sempre gli Stati Uniti, dall’altro non più l’Unione Sovietica ma una Cina che agli occidentali risulta ancora più incomprensibile nonostante abbia adottato modelli di consumo e di vita quotidiana non molto diversi dai nostri. Stati Uniti e Cina, due realtà che Federico Rampini ha ben conosciuto in tanti anni come inviato di Repubblica.

Non un inviato soltanto da conferenza stampa, ma un uomo che si è calato così profondamente nei due paesi da avere adottato tre ragazzi cinesi e da essere poi diventato cittadino statunitense. Nel suo recente La seconda guerra fredda – Lo scontro per il nuovo dominio globale (Mondadori, 224 pagine) Rampini è però capace di raccontare la nuova Cina e la seminuova America da una prospettiva italianissima ed è questo uno dei punti di forza di un libro equilibrato, pur riconoscendo che la questione cinese non è mai stata seriamente analizzata dai politici italiani e dalla maggior parte di quelli europei, se non sotto l’aspetto dell’utilità di breve periodo.

Rampini non è un ammiratore di Trump, ma riconosce che è stato fra i primi ad accorgersi dell’esistenza di questa seconda guerra fredda, in questo senso facilitato da una delle poche posizioni in politica estera che davvero uniscano repubblicani e democratici. Al di là delle guerre commerciali in atto, figlie anche della superficiale inclusione della Cina nel WTO permessa da Clinton, senza pretendere trasparenza e una vera reciprocità, Rampini racconta due mondi che in un acuto capitolo sintetizza in ‘meritocrazia’ e ‘democrazia’.

Non che siano concetti antitetici, ma la Cina ideata decenni fa da Deng Xiaoping e materializzatasi con Xi Jinping in qualche modo li rende tali. Perché il partito-Stato è esattamente lo stesso dei tempi di Mao, per certi versi grazie alla tecnologia ancora più totalitario, e la selezione della classe dirigente avviene quindi secondo criteri di efficienza, non di capacità di trovare consenso. Il Partito Comunista Cinese si è semplicemente adattato ai tempi, cavalcando i consumi e i meccanismi dell’economia liberale, ma in chiave dirigistica.

La grande differenza della Cina rispetto all’Unione Sovietica e tutto sommato anche rispetto agli Stati Uniti non è però questa, ma che i leader cinesi non vogliano proporre un modello politico da esportazione come era in teoria il comunismo, e di fatto è anche la democrazia (con risultati a volte nefasti), ma semplicemente diventare un gigante sempre più autosufficiente e sempre più decisivo nel sistema produttivo e politico dei paesi democratici: la Via della Seta è un po’ uno slogan ma un po’ anche no. La Cina insomma si ritiene un valore in sé, impossibile da esportare.

Il libro è pieno di racconti interessanti, fra politica ed economia, e fra questi ci ha colpito quello riguardante Xi, uno degli uomini più potenti ma anche meno conosciuti della Terra. Non uno che viene dal nulla, ma figlio di un dirigente del partito, compagno di Mao nella Lunga Marcia e poi caduto in disgrazia, il classico bersaglio liberale (liberale per i canoni del maoismo) da rieducare durante la Rivoluzione Culturale. In disgrazia cadde anche la famiglia, con il piccolo Jinping mandato a fare il contadino, per essere rieducato anche lui, e costretto a condannare l’operato del padre.

Nonostante tutto questo Xi figlio non è diventato un nemico del comunismo, ma uno che ha compreso, anche a sue spese, la forza intrinseca della sua struttura. L’essere diventato di fatto un imperatore rende impossibile il confronto con qualunque nostro politico bisognoso di voti, ma secondo Rampini l’America ha una forza morale ed economica, unita ad una altissima percezione di sé, che rende almeno incerto il confronto. La vecchia Europa sta in ordine sparso decidendo con chi stare, in sostanza spettatrice di una situazione per cui secondo l’autore è corretta l’espressione ‘Trappola di Tucidide’, usata dal politologo di Harvard Graham Allison per descrivere una situazione in cui lo scontro militare fra una potenza dominante e una emergente appare inevitabile. La trappola è proprio il ritenerla inevitabile.

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