I giornalisti degli Agnelli

5 Dicembre 2019 di Stefano Olivari

FCA, cioè la vecchia FIAT più Chrysler, cioè gli Agnelli-Elkann o come li vogliamo chiamare nel 2019, non ha pagato 1,3 miliardi di euro di tasse? Il punto interrogativo è doveroso, perché l’indagine dell’Agenzia delle Entrate è in corso, ma la notizia data da Bloomberg fa lo stesso riflettere sui pesi e le misure usati per le vituperate partite Iva e per le grandi aziende italiane che hanno portato la sede all’estero.

Come è noto, FCA ha sede legale in Olanda e sede fiscale in Gran Bretagna. Non ripetiamo discorsi già fatti per altre aziende italiane, dalla Ferrero (Lussemburgo) in giù, mentre noi ingenui facciamo pubblicità gratuita ai loro prodotti. La materia del contendere, come abbiamo letto sul sito del Sole 24 Ore, è la cosiddetta exit tax.

In pratica quando nel 2014 nacque FCA i consulenti di FCA valutarono Chrysler 7,5 miliardi, contro i 12,5 di valutazione dell’Agenzia delle Entrate. Non solo: la FIAT dell’epoca controllava la Ferrari... Una Ferrari che dopo lo spin off adesso capitalizza in borsa 27,7 miliardi di euro. E al di là dei comunicati ufficiali stizziti, la stessa FCA in un allegato all’ultima trimestrale conferma che c’è in corso un contenzioso fiscale da 5 miliardi.

È in ogni caso evidente la differenza di trattamento mediatico fra una vicenda come questa e una analoga di un qualunque sportivo, per non parlare di una comune partita Iva. Senza contare lo stesso atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate: con l’idraulico altro che contenzioso e trattativa… Con Valentino Rossi e Pavarotti invece si tratta, ma con sputtanamento. Con altri silenzio e discrezione.

Come si sarà capito, volevamo arrivare alla recente acquisizione da parte di Exor (la finanziaria degli Agnelli-Elkann) del controllo del gruppo Gedi dai figli di De Benedetti, giudicati incapaci dal loro stesso padre. In sostanza gli Agnelli sono adesso proprietari di Repubblica, Stampa, Secolo XIX, una serie di quotidiani locali, Radio Deejay (Linus), M2O (Albertino), Radio Capital (citiamo le radio perché stanno andando bene, al contrario dei giornali), in più sono fra i principali investitori pubblicitari nelle televisioni.

E hanno nella carta stampata come principale concorrente la RCS di Urbano Cairo, certo non un loro nemico (i tifosi del Torino già lo sanno) visto che quando Cairo si mise in proprio fu la RCS controllata dagli Agnelli il suo primo grande cliente, quello che gli ha permesso di arrivare dov’è adesso. Ah, sono anche azionisti di maggioranza dell’Economist, il giornale più citato dai media italiani quando si vogliono dare un tono. L’autorevole Economist.

Vedremo come sarà trattata la vicenda del contenzioso fiscale da 5 miliardi da parte di chi chiedeva le dimissioni di Josefa Idem per l’IMU di una palestra o di Lupi per l’orologio del figlio. Certo per un giornalista della carta stampata non è facile criticare gli azionisti dell’unica azienda in Italia che potenzialmente lo potrebbe assumere, ammesso che non ne faccia già parte. E in televisione paga comunque di più mostrare altro, l’economia è in genere mostrare gentaglia che vorrebbe andare in pensione a 49 anni e insulta la Fornero. Certo tutti sogniamo una tabella di Floris o di Giordano: quanti appartamenti dovrebbe svaligiare il proverbiale, spesso anche reale, ladro extracomunitario per ottenere un bottino di 1,3 miliardi?

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