Ilva e Arcelor Mittal, una catastrofe a 5 Stelle

4 Novembre 2019 di Indiscreto

L’Ilva che torna allo Stato italiano, dopo il ritiro di ArcelorMittal, è qualcosa di molto vicino al concetto di catastrofe. Nella sua parte terminale imputabile al Movimento 5 Stelle e al suo ecologismo da bambini egoisti alla Greta: noi consumiamo, consumare è un diritto, le porcherie ambientali le facciano altrove.

Nessuno di noi, ma purtroppo anche nessuno nel governo Conte, ha una minima idea di come funzioni il mercato mondiale dell’acciaio ma tutti siamo in grado di capire che nessun privato al mondo si accollerebbe un’azienda che perde due milioni di euro al giorno, nel mirino quotidiano di una magistratura che come tanti politici e tanti giovani che non hanno mai lavorato sogna una Puglia di bed and breakfast.

In estrema sintesi, il gruppo indiano aveva accettato di accollarsi l’Ilva dietro la promessa di immunità penale per quanto riguarda i reati legati all’ambiente. Questa immunità era stata prima coraggiosamente concessa, nel 2015 dal governo Renzi, poi semi-tolta dal primo governo Conte (con la Lega contraria) e adesso tolta totalmente dalla nuova maggioranza 5 Stelle-PD.

Bisogna ricordare che l’Ilva è stata pubblica fino a metà degli anni Novanta, con debiti che erano circa il 15% del fatturato. L’asta fu vinta dai Riva, la cui storia a Taranto è arrivata con alterne fortune fino al 2012 quando la magistratura mise sotto sequestro l’acciaieria per vari reati ambientali.

Dopo qualche anno di commissariamento, ecco l’arrivo degli indiani che a cavallo fra la fine del governo Gentiloni e l’inizio di quello 5 Stelle-Lega sembrano vincere pagando 1,8 miliardi a cui aggiungere 2 miliardi e mezzo di investimenti, di cui metà sull’ambiente. Nel frattempo magistratura e Guardia di Finanza recuperano 1,3 miliardi di soldi nascosti dai Riva all’estero dopo essere stati sottratti all’azienda.

Qualche dato sull’occupazione, per una vicenda che potrebbe cancellare l’1,5% del PIL italiano in un colpo solo (ma così non accadrà) e una provincia, Taranto, che all’Ilva è legata in maniera quasi totale: 11.800 dipendenti verso la fine dell’era pubblica e 14.000 verso la fine dell’era del commissariamento, che secondo l’accordo originario ArcelorMittal si era impegnata ad assumere tutti entro il 2023 (per adesso gli assunti in senso stretto sono circa 10.000, ai quali aggiungere i cassintegrati).

E adesso? Impossibile che i 14.000 finiscano in mezzo a una strada, è proprio il loro numero a garantirli. Oltre ovviamente al fatto che questo governo gioca tutte le sue carte sull’assistenzialismo per proletari e sul no borghese a tutto. Il futuro dell’acciaio italiano nessuno lo conosce, ma qui al bar tutti sono d’accordo nel dire che un paese senza industria si condanna da essere strutturalmente un paese di servi. Gente con il reddito di cittadinanza che in teoria, ma solo in teoria, respirerà aria purissima.

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