Pioli e la sindrome di Biglia

24 Ottobre 2019 di Vincenzo Matrone

Pioli sì, Pioli no. Nessuno ancora sa cosa possa davvero portare questo allenatore al Milan, quindi come al solito cerchiamo di parlare con il senno di prima. Partiamo delle cose positive che si possono dire dopo una sola partita giocata, contro il modesto (nei singoli, non nell’organizzazione) Lecce a San Siro.

La prima cosa che ci ha colpito vedendo Pioli al lavoro a Milanello è stata la sua sicurezza, per come si è posto con giocatori e dirigenti. Non è insomma entrato nel mondo Milan in punta di piedi, da allenatore di provincia miracolato, ma con sue certezze e una certa soddisfazione nell’avere preso il posto di un presunto maestro di calcio, lui che dai media non è mai stato etichettato così nemmeno per sbaglio.

Ma al di là delle etichette, Pioli ha detto ad ogni giocatore che cosa si aspetta da lui e per quello che vale il Lecce questo atteggiamento si è subito visto in campo. Non più giocatori preoccupati di sapere o non sapere eseguire il compitino, come con Giampaolo, ma giocatori (magari scarsi, non è che Pioli abbia cambiato il loro valore) utilizzati secondo le loro attitudini e con la testa giusta. Infatti in generale si è visto meno nervosismo, per il momento possiamo dire questo prima di assegnare a Calhanoglu il Pallone d’Oro per la sua prova nel 2-2 con il Lecce.

In negativo ci sono alcune conferme. La principale è che non avendo da anni certezze, il Milan una volta passato in vantaggio abbassa il suo baricentro di gioco in maniera impressionante: in serie A ci sembra la squadra peggiore, sotto questo aspetto. Di suo Pioli ci ha aggiunto il non aver (ancora?) capito che Leao nel calcio italiano non è una prima punta, mancando di cattiveria in zona gol, di intensità e anche di ordine per dare un riferimento costante ai compagni. Il ventenne portoghese è un talento, che deve giocare a supporto di Piatek e con una certa libertà: se proprio bisogna fare il 4-3-3 meglio in fascia, ma ci piacerebbe vedere un modulo che preveda due punte.

Sempre parlando in negativo, notiamo che anche Pioli si è fatto contagiare dalla sindrome ”Biglia grande uomo’, di cui abbiamo già parlato in passato. Essere un professionista serio e puntuale è senz’altro un punto a favore, ma da anni l’argentino è una zavorra. Non è che gli allenatori siano stupidi e gli spettatori del Milan intelligenti, in fondo è normale che in qualsiasi posto di lavoro si veda con favore una persona seria rispetto a uno che ti ride in faccia quando parli. Però il calcio non è un lavoro come gli altri, anzi non è nemmeno un lavoro.

Dopo una settimana di vero allenamento Pioli potrà essere giudicato meglio a Roma: pur evitando sentenze, già domenica si capirà se il suo Milan avrà almeno l’1% di possibilità di arrivare quarto.

Share this article