Nike Oregon Project, la fine

11 Ottobre 2019 di Indiscreto

La Nike ha deciso di chiudere il Nike Oregon Project, suo centro di allenamento diretto da Alberto Salazar, dopo che lo stesso Salazar è stato squalificato per quattro anni dall’USADA in quanto istigatore al doping. Una mossa strana, quella dell’azienda regina del marketing sportivo mondiale, per staccare il suo nome dall’allenatore di tanti campioni statunitensi (Galen Rupp il più famoso) e non (da Mo Farah a Sifan Hassan).

La mossa della Nike è stata strana non perché sia stata fatta ad una decina di giorni dalla squalifica di Salazar da parte dell’agenzia antidoping USA, ma perché arriva dopo che l’amministratore delegato della Nike, Mark Parker, aveva annunciato il sostegno a Salazar, che del resto lo aveva sempre tenuto informato dei suoi ‘esperimenti’. In altre parole: la Nike forse sa qualcosa che noi ancora non sappiamo, di sicuro vuole staccare il suo nome in sostanza da… se stessa. Non è infatti un dettaglio che il centro di allenamento di Salazar sia a poca distanza dalla sede centrale dell’azienda fondata da Phil Knight.

Nelle mail che hanno portato alla squalifica di Salazar e che mettono anche la Nike sul banco degli imputati, almeno sul piano morale, si parla senza mezzi termini di metodi per sfuggire all’antidoping: nessun messaggio in codice, ma parole chiare. Due cose vanno comunque tenute a mente. La prima: anche se Salazar ha seguito atleti di diversi paesi, il Nike Oregon Project (partito nel 2001) è stato soprattutto uno strumento per rilanciare l’atletica statunitense ed in particolare il mezzofondo. Missione compiuta, stando alle tante medaglie e piazzamenti. Seconda cosa: nessun atleta del Nike Oregon Project è mai risultato positivo all’antidoping, finora siamo in presenza di gente che viaggia al limite ma, almeno in via ufficiale, non oltre il limite.

L’immagine di Salazar, ex ottimo maratoneta (tre volte trionfatore a New York e una a Boston) ed ex consulente anche di Lance Armstrong, al di là dell’appello esce in ogni caso rovinata mentre la Nike (citata nei servizi ma quasi sempre sparita dai titoli: ah, i big spender della pubblicità…) merita una riflessione a parte. Siamo sicuri che il suo pubblico di riferimento, non soltanto quello dei podisti amatoriali, sia contro il doping o comunque contro l’abuso di farmaci per fare sport? Alla fine a quasi nessuno interessa che nel corpo di Tizio o Caio ci siano sostanze proibite, ma che gli atleti abbiano le stesse condizioni di partenza. Condizioni che sono paradossalmente alterate più dall’antidoping, con cattivi e grandi impuniti in base al passaporto, che dal doping.

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