Mondiali di atletica, Italia piccola ma giusta

8 Ottobre 2019 di Stefano Olivari

I Mondiali di atletica leggera di Doha sono finiti, nel disinteresse del pubblico locale e con uno spazio mediatico inferiore rispetto a quando i Mondiali si disputano in piena estate, con una minore concorrenza del calcio. Nel 1996 grande scandalo per i Giochi assegnati ad Atlanta (signora mia, che cattivi questi della Coca Cola), nel 2019 poche critiche all’atletica svendutasi a gente di cui nemmeno gliene frega tanto.

Al punto che le poche parti vive delle tribune erano fatte da schiavi con biglietto omaggio e da qualche pazzoide lì per fare del turismo. Ma veniamo al punto: l’Italia ha fatto schifo, come sembra a quelli del bar mentre analizzano il futuro di Giampaolo, oppure ha fatto bene come dicono FIDAL e qualche giornalista di area?

Stando al becero medagliere l’Italia sarebbe trentunesima in classifica, con il bronzo della Giorgi nella 50 chilometri di marcia che probabilmente nemmeno sarà alle Olimpiadi. Stando alla più credibile classifica a punti, che prende in considerazione i primi otto di ogni gara, assegnando 8 punti al vincitore, 7 al secondo e così via, la squadra azzurra è ventiseiesima grazie alla Giorgi, al sesto posto della 4×400 (la rimonta di Re nella semifinale è stata da pelle d’oca), ai settimi di Tortu nei 100 (piazzamento con un peso specifico immenso) e della 4×100 femminile, agli ottavi di Crippa, Tamberi e Stecchi.

Prima delle inevitabili critiche pensiamo che in uno sport in cui il talento può affermarsi ovunque, quindi con l’isoletta (vedere Grenada con il suo giavellottista d’oro) che se la può giocare con la superpotenza, la base a cui si può attingere è fondamentale. L’Italia è il ventitreesimo paese del mondo per popolazione, ma soprattutto ha il calcio e gli altri sport di squadra che drenano quasi tutti i migliori talenti (cosa che non si può dire per la Giamaica, terza nella classifica a punti, anche se il calcio è popolare anche lì). Giustamente, aggiungiamo noi: un ragazzo italiano robusto e veloce ha più chance di guadagno e di affermazione personale come difensore del Cittadella che come finalista olimpico nei 200 metri. Insomma, in termini grezzi, al netto di qualsiasi discorso etnico e di doping, l’Italia ha fatto il suo.

Se poi si analizza la gestione delle risorse a disposizione, si nota che quasi non esistiamo nelle specialità in cui il campione si può costruire (i lanci su tutte), oltre che nel mezzofondo veloce e non, con l’eccezione di un eccellente Crippa che non ha cancellato Antibo (nella sua epoca, con il suo record, il siciliano era da medaglia olimpica) ma certo con il record italiano dei 10.000 è entrato in una nuova dimensione. I risultati dei Mondiali Under 20 dicono che il talento a disposizione difficilmente è da primi venti posti nel mondo, anche se l’anno scorso a Tampere l’Italia è stata tredicesima, grazie soprattutto all’oro della 4×400 (e Scotti è stato subito promosso con i grandi).

Conclusione? L’Italia di Doha non è stata esaltante, tolti alcuni casi quasi nessuno è stato vicino ai propri limiti, però il nostro posto del mondo sarà sempre questo e l’exploit di qualcuno (il Tamberi del 2016 sarebbe stato da oro) non cancella il discorso generale.

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