Il Teodosic nascosto

7 Ottobre 2019 di Oscar Eleni

Oscar Eleni avvinghiato all’acero palmato di Kyoto sognando le cicogne che nidificano in Estremadura. Un bel viaggio per la mente, ma se hanno organizzato i Mondiali di atletica a Doha, dove poi manderanno a cuocere quelli del calcio, perché non volare con la mente? Kyoto è il ricordo di un mondo, di un’atletica che rimpiangi sempre mentre togli l’audio nel lacrimatoio in esclusiva RAI.

Nostalgie tipiche dell’anzianità, ma, cara gente, in quei giorni, mentre ridevamo come stupidi goliardi inseguendo la principessa Cicibù, provocando  la reazione disgustata dei colleghi giapponesi, avevamo a che fare con un mondo tanto diverso. I campioni, ne abbiamo avuti tanti, non cercavano scuse o microfoni, se andavano bene erano disponibili, se sbagliavano non si nascondevano dietro ai baci e agli abbracci degli staff.

Certo che rimpiango la genialità di Ottoz, la sottile ironia di Livio Berruti. certo che mi manca Dionisi, il  meraviglioso gruppo romano da Gentile a Frinolli,  perché non avere nostalgia di Morale, Ottolina, di Pamich e Dordoni e poi del Pastorini e dei suoi marciatori, di fratello Pietro e Sorella Sara, degli urli di Vittori, della passione di chi sapeva accettare anche il cinismo geniale di Pagani, l’ansia di sapere di Locatelli, il mondo di Rondelli, della Pro Patria del Mastropasqua inimitabile, di Cova e Panetta.

Di tutto quello che c’è stato almeno fino al Baldini olimpionico di maratona ad Atene dopo essere stati a cena mille volte, nell’immaginario, con il Bordin a cinque cerchi di Seul che spaccava telefonini in Finlandia e con il Nazareno Rocchetti, oggi pittore e scultore, che sapeva parlare a questi fenomeni, da Mennea alla Dorio nata  all’ombra della palma dove Oscar Barletta trovava l’anima della Brunet, la vera figlia di Cacchi e della Pigni. Nella mente le corse di Venanzio Ortis, di Mei l’ultrà, dell’Antibo che resterà il nostro cavallino arabo per quello che ci sedmbrava paradiso, un mondo che dai tempi del magistero di Calvesi e della genialità di Oberweger ci ha detto sempre cosa avevamo sbagliato nella vita precedente.

Ora siamo qui a celebrare i bravi azzurri di Doha, ma sono davvero pochi e fa bene La Torre ad avvisare i naviganti: da oggi basta bugie. Anche il presidente federale Giomi dovrebbe ritrattare la dichiarazione della vigilia anche se capiamo la sua ansia di staccarsi dal mondo del palazzo acca per abbracciare “lo Stato” o almeno quelli che dicono oggi di rappresentarlo. Quando ci ha detto che l’atletica italiana ha vissuto un anno straordinario non riuscivamo a crederci. Forse voleva dire inconsueto, perché ci siamo staccati dal fondo, magari pensava che tutto fosse insolito se nell’Europa malaticcia eravamo ammessi al tavolo grande, forse sorprendente per l’interesse  che comunque non ci ha evitato di vedere piste anche nuove mangiate dai tartufones del pallone.

Insomma stiamo con il realismo di La Torre e ci ha emozionato più Crippa di Tortu, ci ha dato fiducia più Re del Tamberi che aveva tante scuse per non brillare, ma proprio per questo avrebbe dovuto scegliere copioni diversi nell’arena, certo non snaturarsi, ma era tutto sopra le righe per sembrare davvero spontaneo, un po’ come questa storia degli staff invisibili o quasi.

Ci siamo rimasti male per lo sposalizio di Coe con l’afa dell’emirato, adesso sappiamo perché gli abbiamo sempre preferito Ovett, anche se ci hanno  esaltato in coppia, nemici davvero contro con la stessa maglia, ma non gli stessi mondi frequentati. Un lord e un vero figlio del popolo. Guardiamo il medagliere, la classifica a punti. Certo non esiste inferno più bello di questa atletica globale che porta all’oro un giavellottista di Grenada, anche se tifavamo per l’estone che ci ha lasciato una spalla ed è stato portato fuori, vestito solo d’argento, fra troppa gente indifferente.

 Atletica amore vero ti lascio ai cantori che ne sanno molto di più, che la vivono davvero, che la sanno capire meglio perché quelli del basket poi diventano gelosi e anche loro hanno voglia di spararle grosse. Siamo anche qui nello straordinario inventato, quando invece sarebbe ora di fare un bell’esame di coscienza, ma pure Petrucci, come Giomi, si preoccupa più di sapere cosa pensano nelle stanze di Sport e Salute che nelle belle tavolate tipo quella che il dottor Papetti, a nome dei suoi splendidi amici nel museo del basket milanese, ha organizzato per salutare il ritorno in città, nella Milano che è sua come Le Mans, di Arturo Kenney, il rosso da guerra, lui che proprio rosso non lo sarà mai. Volevano portarlo a vedere come è il nuovo Palalido dove manca una lapide nel ricordo di chi lo ha reso grande: da Rubini il grande e immortale a Zagaria, il custode maratoneta che ci ha lasciato da poco.

Un tacco a spillo, una storta. Niente Arturo per vedere cosa fanno i quarantenni con pelotas tipo Scola, per scoprire che  la Milano di Messina è purificata dall’alibi col cachemire, ma è sempre un cantiere e la vittoria su Trieste non dice molto e neppure mette la museruola a chi rimpiange James, protagonista con il CSKA, e il Jerrells sentenza che tiene al primo posto Sassari castigando Trento dove Mezzanotte è tornato nella ronda senza piacere.

Il solito basket maso che manda in contemporanea con un intrigante e  anche interessante Inter-Juventus l’esordio del genio Teodosic contro la Reyer campione, uno che ci ricorda  i tavolini della fortezza a Belgrado, il caffè bevuto lentamente guardando il mondo come facevano i grandi  della scuola slava, come fa ancora oggi Boscia Tanjevic che una mano al Petrucci aveva cercato di dargliela, soltanto che in troppi hanno convinto il presidente a togliersi il guanto lasciando atterrare Boscia fra le cicogne di Estremadura dove lo abbiamo accolto volentieri.

La terza giornata ci dà un quintetto ideale ancora senza italiani che invece stanno spesso dietro la lavagna e certo faceva impressione vedere Teodosic illuminare il Madison bolognese mentre intorno aveva Gamble o il Baldi Rossi che cammina su uova tutte sue. Anche a Milano, se pensiamo agli italiani, senza per questo dare ragione ad Erode Pianigiani, si fa davvero fatica a vedere progresso in Della Valle e anche Moraschini ci lascia perplessi, ma certo la casa di Azzurra Fremebonda resta sempre vuota se guardiamo anche fuori, al Polonara da 8 minuti in Baskonia, al Flaccadori   della Baviera non entrato contro Milano.

Né ci fa piacere l’addio di Hackett alla Nazionale, anche se nel ruolo possiamo coprire bene, sperando che Mannion accetti di seguire il filo azzurro. Ora, nell’illusione di poter convincere Gallinari con un Ambrogino d’oro, ma dai, nella speranza che Belinelli ci dica ancora sì, aspettiamo che l’esploratore Trainotti ci porti dalle miniere statunitensi, dal mondo che conosce così bene, qualcosa che dia  più certezze del Jeff Brooks che dalla Cina a Milano sembra aver perso il sacro fuoco.

Pagelle prima del ricovero. Non in manicomio come pensano in tanti, ma comunque ospedale.

10 A TEODOSIC che dopo il partitone  d’esordio con la Virtus ha subito fatto sapere che certi punteggi individuali saranno l’eccezione, non la regola. Per Djordjevic, comunque, basterebbe che la ciurma capisse almeno la metà degli assist della genialità slava che certo gli avrebbe fatto comodo in Cina.

9 A TREVISO, REGGIO EMILIA e ROMA, per la prima vittoria in campionato. Amiamo queste realtà, Roma solo per Bucchi, sia chiaro. Siamo sicuri che Menetti e Buscaglia faranno cose importanti nel nome di società che hanno dentro qualcosa.

8 Alla coppia JERRELLS e JAMES che  sta allargando il mondo della nostalgia nella Milano dove certo non mancheranno mai i nostalgici dell’edonismo, anche se noi restiamo fedeli  ad altre ere, dove il pantaloncino corto non nascondeva la verità che oggi viene celata dalla mutanda lunga.

7 Al BULGHERONI che ha resistito al vento della solita incompetenza quando tormentavano Varese per l’esordio malato contro Sassari, senza credere in Artiglio Caja e, adesso, nella coppia bianconera Vene-Mayo.

6 All’ avvocato Porelli, dieci anni dopo averlo perso, se da dove si trova farà sentire il suo urlo per quella maglia Virtus che sulle spalle ricorda mondi altrove rispetto al vero basket. Zanetti dovrebbe essere ricco abbastanza per semplificare i simboli adesso che al Dozza il contorno è rosso come la nemica Milano avrebbe detto la Paola Porelli.

5  Al MALANNO che ci ha tolto Blatt dall’eurolega. Un bell’allenatore, un generale che ha fatto sempre belle cose, da Treviso a Mosca, a Tel Aviv e anche in Turchia e Grecia.

4 A CREMONA che si era illusa di avere trovato anche quest’anno gente magica per stupirci. Per SACCHETTI un tormento in più dopo le torture cinesi. Deve  riprendere in mano una squadra che è stata intossicata dall’egoismo.

3 Agli AGENTI che hanno trovato posti all’estero per italiani incompresi. Siamo sicuri che abbiano fatto il loro bene e non lo diciamo adesso che Datome continua a soffrire nella casa di Obradovic dove di certo è migliorato, ma, purtroppo, guarisce lentamente e nel preolimpico ne avremmo bisogno.

2  Allo STONE veneziano rientrato dopo una “dolorosa riflessione” per fare altri danni. La Reyer è così. Segue i percorsi difficili per diventare lupo cattivo, come l’anno scorso nella finale scudetto.

1 A POZZECCO che sta facendo diventare acido il vino che Messina, con Milano, De Raffaele con la Reyer e lo stesso Djordjevic con la Virtus incompleta, come tutte le favorite al titolo, pensavano di poter bere senza essere disturbati dai pirati di Sardara.

0 Alla LEGA bistrattata in RAI se non farà causa  alle società che hanno portato nel nostro campionato certi giocatori ciofeca, brocchi e presuntuosi. Ce ne sono davvero troppi e giustificarsi con la pochezza dei nostri e la ruvidezza europea è da vili.

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