Beppe Bigazzi e la ricetta per cucinare il gatto

10 Ottobre 2019 di Indiscreto

Beppe Bigazzi era un volto familiare per le casalinghe e i casalinghi di tutta Italia, soprattutto per la sua presenza a fianco di Antonella Clerici in La Prova del cuoco, su Rai 1, a inizio anni Zero. Per questo la sua morte, a 86 anni, ha colpito molte persone più di quella di un parente. Bigazzi prima della popolarità televisiva come enogastronomo era stato un grande dirigente d’azienda (all’Agip, alla Lanerossi e in altri posti), ma se vogliamo essere onesti dobbiamo dire che le prime pagine dei giornali se le è conquistate soltanto con la sua ricetta per cucinare il gatto.

Era il febbraio 2010 e fu un caso nazionale, nato da una battuta dell’ex manager toscano proprio a La Prova del Cuoco, la cui conduzione era intanto passata a Elisa Isoardi. Battuta che era un proverbio, in verità sconosciuto fuori dalla provincia di Firenze: “A Berlingaccio chi non ha ciccia ammazza il gatto”. Bigazzi poi spiegò alcuni metodi popolari per cucinare i gatti, cosa che si faceva in molte parti d’Italia e non soltanto in Toscana, a Bergamo e a Vicenza.

Scoppiarono polemiche fortissime, perché nel nostro paese sono quasi 8 milioni i gatti che vivono in famiglia, e la Rai per spegnerle sospese Bigazzi. Che aveva parlato chiaramente di usanze degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, quando il gatto in umido era considerato sostituivo del pollo o del coniglio, ma lo aveva fatto con un po’ troppo entusiasmo. Siccome era già stato ammonito per avere bollito in diretta crostacei ancora vivi, arrivò l’espulsione.

Detto che per noi personalmente la vita di un gatto, non solo del nostro gatto ma di qualunque gatto, vale più di tutto il genere umano messo insieme, la decisione della Rai fu di sicuro esagerata. Per coerenza l’emittente di Stato non dovrebbe più trasmettere spot di aziende la cui carne arriva da allevamenti-lager, cioè quasi tutti. E poi, dal punto di vista del pubblico, non vediamo grande differenza etica fra l’ammazzare un gatto e macellare una mucca o un maiale a chilometro zero, magari allevati bene ma pur sempre per ammazzarli in seguito.

Ma come si cucina il gatto? Magari i numerosi vicentini che leggono Indiscreto lo sanno meglio di noi, che lo abbiamo sentito raccontare dal nonno trevigiano. In estrema sintesi, perché ci viene da vomitare solo a pensarci, il gatto deve essere abbastanza giovane, non oltre i tre anni. Dopo la sua uccisione deve rimanere per qualche giorno a frollare in un ambiente freddo. Prima di questo procedimento, secondo una corrente di pensiero, bisogna togliergli il fegato anche se non è obbligatorio. Va be’, non riusciamo ad andare avanti: il resto sono le solite spezie, le solite erbe, il solito pomodoro da cucina italiana. Per mucche e maiali ci dispiace uguale. Ma cosa volevamo dire? Ah sì, che i mille chef televisivi che parlano di animali come di ‘materia prima’ non sono meglio di Bigazzi.

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