Le pagelle al secondo governo Conte: il nemico è il Nord Italia

5 Settembre 2019 di Stefano Olivari

Le pagelle di Indiscreto al secondo governo Conte, dopo quelle al calciomercato, riferite ai ministri che contano. Governo a trazione meridionale, come ha osservato anche un imbarazzato Sala (che rimane in panchina a Milano, ad autoincensarsi e a litigare con Elliott e Zhang), quindi con grande propensione alla spesa pubblica, e privo di grandi nomi, come hanno osservato tutti: quelli veri si stanno scaldando per il prossimo giro, magari con regole che consentano di neutralizzare il cattivo della situazione. Per dirla in breve: nel governo gialloverde i nemici erano l’Europa e i negri (sintetizziamo un minimo), in quello giallorosso il Nord Italia e chi si oppone all’asse franco-tedesco.

Luigi Di Maio (Esteri) 6: è il nome più noto, nel governo uno dei pochi politici che reggano un titolo di giornale insieme a Conte, Patuanelli, Bonafede e Franceschini. Ironie da tastiera sulla sulla sua competenza e sul suo sostegno a Maduro (unico leader in Occidente e forse nel pianeta), ma nel mondo di oggi il ministro degli Esteri è poco più di un tagliatore di nastri, oscurato in campo internazionale da quelli dell’Economia e dallo stesso presidente del Consiglio. Non potrà fare danni all’Italia, sul piano personale sarà stritolato dall’esperienza PD e dai Cinque Stelle (almeno la metà) che vogliono essere l’ala movimentista del PD. Vedova di Salvini molto più degli elettori leghisti, molti dei quali vedono il pendolo andare verso la secessione. 

Luciana Lamorgese (Interno) 7 – Passa per tecnico, ma mediaticamente è il prefetto di Milano (nominata da Minniti) che ha imposto ai sindaci della provincia di prendersi un carico la loro quota di migranti. Facile che qualcuno la descriva come l’anti-Salvini, cosa che non è. Deluderà la sinistra, sorprenderà i leghisti.

Roberto Gualtieri (Economia) 2 – Tanti pistolotti sulla legge di bilancio e sull’Iva, poi all’Economia dopo Tria e altri competenti viene messo un politico senza alcuna base tecnica. Sarà per questo che la Lagarde e tutta l’Europa franco-tedesca che ci ha commissariato è felice di questo governo e di questa nomina. Un solido passato nei DS e nella nascita del PD, un vero pericolo per l’Italia perché non ha la cilindrata per fare il Signor No di fronte ai tanti questuanti. Suona Bella Ciao, ma ama l’asse franco-tedesco che ci sta colonizzando mentre discutiamo di Icardi. 

Alfonso Bonafede (Giustizia) 5 – Sostenitore sia di Conte sia di Di Maio, cosa in questo momento difficile, è una significativa riconferma. Un successo la prescrizione bloccata dopo il primo grado di giudizio, per il resto ha dimostrato di non avere la cilindrata per gestire i tanti scandali all’interno della magistratura. Magari indagherà con coraggio sul caso Lotti-Palamara-Csm, magari no…

Nunzia Catalfo (Lavoro) 5 – Con il suo predecessore, cioè Di Maio, ha in comune molte cose: il partito, l’ossessione per il reddito di cittadinanza, l’assenza di laurea, la vaghezza del suo lavoro precedente alla politica. Di differente rispetto a Di Maio ha un’antipatia epidermica nei confronti della libertà di impresa. Prevedibili bastonate alle poche aziende che stupidamente si ostinano a rimanere in Italia, oltre a una pioggia di sussidi a chiunque.

Lorenzo Fioramonti (Istruzione) 6 – Non è al posto sbagliato, perché è già stato sottosegretario con Bussetti e perché ha un passato universitario, addirittura da sedicente cervello in fuga. Al di là della tassa sulle merendine, ci è piaciuto quando ha parlato degli insegnanti che devono tornare ad avere un ruolo di prestigio. Parole vuote, come tutti i 26 punti del programma, ma dare un po’ di orgoglio a un postificio come la scuola è comunque un punto di partenza.

Giuseppe Conte (Presidente del Consiglio) 5 – L’ex avvocato degli italiani, fino a due anni fa sconosciuto anche nell’università dove insegnava, ha difeso benissimo sé stesso e capito per tempo dove risiedano i veri poteri forti. Non che ci volesse un genio, però ad esempio Salvini non ci è arrivato.

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