La mentalità internazionale di Conte

18 Settembre 2019 di Indiscreto

La Champions League dell’Inter di Antonio Conte è appena cominciata, ma forse è già finita. L’1-1 di San Siro contro lo Slavia Praga potrebbe tranquillamente essere rimediabile, anzi è possibile che contro Barcellona e Borussia Dortmund il contismo, inteso come calcio compatto e monocorde da soldati, possa ottenere risultati migliori.

Ma di sicuro Zhang senior, in una delle sue rare apparizioni dal vivo, avrà chiesto al figlio a cosa esattamente i 20 milioni lordi a stagione spesi per Conte (più l’ingaggio di Spalletti e staff) siano serviti. Nessuna sorpresa: senza intensità e standard atletici molto alti (per questo il tecnico non ama il centrocampo tutto di nani e ha riciclato Gagliardini) le squadre di Conte giocano così.

Non necessariamente con il 3-5-2 (al Chelsea molto spesso teneva Hazard e Willian ai lati della prima punta, Diego Costa il primo anno e Giroud il secondo), ma sempre con la difesa a tre, due esterni di centrocampo senza grilli per la testa (meglio Asamoah di Perisic, in questa discutibile logica: ma quali geniali movimenti del 3-5-2 non si possono apprendere in tre mesi? Perisic è meno intelligente di Lazaro?), continui cambi di lato, verticalizzazioni con la prima punta che apre il campo ai compagni.

Un gioco prevedibile, che assume un senso con pressing da bava alla bocca, ritmi alti e qualcuno che ogni tanto sappia uscire dallo spartito: nella Juve lo sapeva fare un Pirlo al lumicino, nell’Italia nessuno (e infatti giocava mediamente da cani, ma bene contro le grandi), nel Chelsea Hazard, nell’Inter questo compito è di Sensi. Che se fossero arrivati i resti di Vidal, come Conte desiderava, sarebbe in panchina…

Di certo non è un problema di mentalità internazionale, anche se a 50 anni questa è per Conte soltanto la quarta coppa europea da allenatore e le precedenti tre le ha giocate malissimo, ma di caratteristiche tattiche e umane di un allenatore con una carriera ormai consistente a tutti i livelli. Uno dei migliori d’Italia, senza dubbio (a maggior ragione nel 2019, con la qualifica di ‘maestro’ che non si nega a nessuno), che comunque fa bene a rimanere se stesso e a mettere in campo l’Inter con la sua testa. Tanto fra qualche mese l’eroe da statua equestre o il grande colpevole sarà comunque lui.

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