Ballers 4, il football contro Trump

21 Settembre 2019 di Indiscreto

Più volte abbiamo citato Ballers, la serie TV ambientata nel mondo del football che in Italia è disponibile su Sky on demand, così in attesa della quinta stagione e dopo la partenza della NFL (sarà anche su Dazn 1 al canale 209? Sono le nostre grandi domande) riteniamo giusto parlarne in maniera più approfondita. Al di là di Dwayne ‘The Rock’ Johnson, l’attore più pagato al mondo, che troviamo più centrato in Ballers che nei vari film muscolari per adolescenti.

Nelle prime tre stagioni l’azione si svolge a Miami, nell’ambiente che ruota intorno ai Dolphins e alle vicende di Spencer Strasmore, ex campione con ambizioni nel mondo della finanza. Giocatori, procuratori, groupie, giornalisti, gente senza arte né parte che vive delle briciole della NFL. La forza della serie è proprio questa: una notevole credibilità nel raccontare i meccanismi imprenditoriali e mediatici dello sport, con ironia (molti personaggi sono al confine della macchietta, alla fine anche Joe Krutel, il socio di Strasmore) e un certo senso critico.

La NFL e soprattutto la NCAA ne escono a pezzi, un po’ monopolisti e un po’ maneggioni, o comunque con l’immagine di un circolo di pescecani bianchi che si arricchiscono sulla pelle degli atleti afroamericani, cioè del 75% del personale della NFL. La questione razziale è infatti il secondo grande asso nella manica di Ballers: sempre latente e a volte manifesta, mette in contrasto soprattutto i neri integrati con quelli che del sistema sfruttano soltanto i soldi ma senza crederci. Tema ben trattato, tranne che nella quarta serie, ambientata per lo più a Los Angeles, piena di pistolotti anti-Trump e in palese malafede, come quando si vuole dimostrare che la base del trumpismo sono le élite (invece è certificato che sono i bianchi di classe media e bassa).

Il motivo per cui la quarta serie è piaciuta di meno non è però questo, ma l’improbabilità della storia: consulenti di giocatori di football che si trasformano in imprenditori televisivi di una rete che punta su surf e skateboard, roba degna del leggendario Usa Today condotto da Giorgio Mastrota. Speriamo che nella quinta stagione si torni a Miami o che comunque si torni a raccontare il lato meno conosciuto del più americano degli sport americani.

Rimane il fatto che molti personaggi siano centratissimi, a partire dal protagonista: l’ex campione che vuole dimostrare di non essere stato grande solo in campo, ma privo della concretezza di chi campione non è stato. I nostri preferiti sono però Reggie, di professione amico del giocatore (tutti conosciamo nella realtà decine di Reggie, dispensatori di notizie e richiedenti seriali di favori), e Ricky Jerret, giocatore sul viale del tramonto e pieno di contraddizioni. Fra i personaggi minori menzione d’onore per TTD, assistente-amico di Ricky, e Jay Glazer nei panni di sé stesso, cioè un giornalista (sia pure con altro nome) famoso. Oltre a Glazer tanti i personaggi del football e dello sport americano nei panni di sé stessi, a seconda degli episodi (in uno c’è anche Steph Curry).

Unico limite di Ballers, limite gestito nelle prime tre stagioni e diventato fastidioso nella quarta, è il politicamente corretto stile Hollywood, che va paradossalmente contro le proprie, ufficialmente buone, intenzioni. Se vuoi dimostrare che i neri sono considerati dalla società americana solo quando giocano a football o fanno i rapper, non puoi mostrare che il 90% dei medici e il 50% degli avvocati che si vedono in Ballers è nero. In un paese, oltretutto, in cui può definirsi afroamericana circa il 13% della popolazione. Detto questo, non siamo di fronte al capolavoro ma certo ad una serie da cui è impossibile staccarsi.

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