Pagare per la stella Michelin?

20 Agosto 2019 di Dominique Antognoni

Per avere la stella o le stelle Michelin bisogna pagare? Fra poco parte la stagione della guide enogastronomiche, e in mezzo a tante situazioni che cambiano questa domanda rimane uguale a sé stessa. Anche se ci ha sempre fatto ridere, quasi come la sua versione senza il punto interrogativo fornita da sedicenti ‘bene informati’.

Non perché nel mondo non esista la corruzione, anzi, i casi di onestà sono senz’altro la minoranza, ma perché un solo episodio di questo tipo (vale per Michelin, Espresso, Gambero Rosso, eccetera, anche per il nostro Who’s Who) distruggerebbe piccoli imperi editoriali. Giocarsi la reputazione, cioè l’unica cosa che conta, e milioni di euro basati sulla credibilità, in cambio di pochi spiccioli?

Va detto che questa cosa del pagare per la stella è prima di tutto un alibi per alcuni ristoratori che la stella non ce l’hanno, e che sottovoce ti dicono ‘Io so come funziona’. E pazienza se hanno la tovaglia macchiata o piatti anni Ottanta. Ma al di là di questo, è vero che nel mondo della ristorazione circolano personaggi che la stella sulle guide la promettono davvero: il loro segreto è non avere alcun rapporto con le guide stesse, ma proporre la transazione a chi è possibile venga ‘promosso’, non al take away sotto casa.

Funziona così. Tizio chiede 5.000 euro o giù di lì al ristoratore ambizioso (ma anche stupido) e questo a volte ci casca. Se poi prende la stella Tizio ne esce come un fenomeno e i 5.000 verrano ripresi con gli interessi grazie all’aumento della clientela. Se non la prende, di certo non potrà fare causa a Tizio per una pagamento fatto in contanti per un servizio del genere. Tizio, almeno il Tizio che conosciamo, è un personaggio noto.

Alcuni chef e ristoratori hanno la mente così annebbiata quando si tratta della stella che, senza pensarci su due volte, ci cascano. Per come li conosciamo, alcuni di loro pagherebbero molto di più, se solo fosse possibile. Insomma, i 5.000 sono quasi un prezzo di favore. Qui però interviene un altro fattore: che senso ha avere la stella senza meritarsela? Gli chef veri, quelli che si suicidano (a volte non metaforicamente) per un piatto mal riuscito, nemmeno concepirebbero un affare del genere.

Su un piano inferiore rispetto alle porcherie di Tizio c’è la presunta credibilità del critico Caio. Lui non chiede soldi, ma sostiene che il suo parere sia importante per la stella Michelin. Con la guida francese sempre ignara… Alcuni di questi Caio sono qui, fra di noi, iscritti ai gruppi di cucina, onniscienti e soprattutto ubiqui: invece noi che andiamo al ristorante ogni giorno riusciamo al massimo in un anno a scrivere 365 recensioni…

Dicono e non dicono, fanno capire che… Il loro obbiettivo non è sfilare soldi in nero subito, ma consulenze fatturate regolarmente a lungo termine. Siamo insomma nella legalità, ma con un’etica non diversa da quella di Tizio. La stella poi non arriva, però i bonifici per le consulenze sì. 

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