Non era champagne, Maifredi prima di Sarri

21 Agosto 2019 di Stefano Olivari

‘Non era champagne – La rivoluzione fallita di Maifredi’ è uno di quei libri che avremmo voluto produrre, per tanti motivi: il primo è l’autore, Enzo D’Orsi, grande inviato del Corriere dello Sport per calcio internazionale e Juventus. Invece l’hanno prodotto gli amici di Edizioni in Contropiede, che hanno avuto la gentilezza di farcelo leggere in anteprima facendoci rivivere una stagione incredibile, in cui la Juventus governata da Montezemolo provò a cambiare pelle.

In maniera filosoficamente non diversa da quella attuale di Sarri, anche se adesso il livello della squadra è altissimo mentre all’epoca c’era tanto talento giovane (a partire da Baggio) da mettere insieme, in un calcio italiano pieno di squadre di cilindrata simile: il Napoli di Maradona, l’Inter dei tedeschi, il Milan degli olandesi, la Sampdoria di Vialli e Mancini. Vincere non era insomma un compitino noioso.

Diverso ovviamente anche il livello degli allenatori: Maifredi aveva fatto bene all’Orceana, all’Ospitaletto e al Bologna, mentre Sarri da anni è un allenatore di primo piano in Europa. Ma le storie personali e le ambizioni non erano-sono così diverse, con quel desiderio di rivalsa che chi non ha giocato da professionista ha sempre dentro.

D’Orsi racconta da cronista e da insider juventino quella stagione post Italia ’90, quando una Juventus pur ben guidata da Zoff l’anno prima scelse di seguire il sacchismo allora di moda e scelse Maifredi. Per il quale fu fatta una campagna acquisti eccellente, con tanti acquisti giovani e forti: Baggio, Haessler, Di Canio, Corini, più il centrale del Brasile Julio Cesar e gli ex Bologna Luppi e De Marchi. Un’ottima squadra, considerando che già c’erano Tacconi, De Agostini, Marocchi, Casiraghi e Schillaci

La tesi di D’Orsi, suffragata da tanti racconti e retroscena, è che Maifredi si sia accostato al mondo Juventus con un po’ di presunzione e che in ogni caso lui non c’entrasse niente con l’allenatore ‘da Juventus’. Che sarebbe Trapattoni, Lippi, Allegri… Non è una questione tattica, quanto proprio di atteggiamento: da una parte il genio più o meno compreso, dall’altra il funzionario della società capace di governare i giocatori. Ma non vogliamo togliere il piacere della lettura anticipando i tanti aneddoti.

A noi i racconti delle stagioni di una squadra, soprattutto a distanza di tanti anni, fanno sempre pensare che tutto a volte giri su una partita, a volte su un episodio. E poi su questo costruiamo linciaggi, o più spesso monumenti al valore. Quella partita fu Sampdoria-Juventus del 17 febbraio 1991, con la squadra di Boskov a 28 punti in testa alla classifica insieme all’Inter, con Milan e Juventus a 27 (la vittoria valeva 2 punti, in questo senso bisognerebbe tornare indietro). Insomma, un campionato bellissimo che la Juventus ‘nuova’ di Maifredi si stava giocando bene dopo che per anni i bianconeri erano stati lontani dalla lotta scudetto. Partita equilibratissima (nella nostra follia abbiamo ritrovato le pagelle: Pagliuca per tutti i giornali fu impegnato più di Tacconi), con Baggio peggiore dei bianconeri, risolta da un rigore di Vialli concesso per un molto dubbio fallo su Mancini. Tante proteste, anche per un rigore negato a Schillaci, ma da lì la Sampdoria prese il volo e l’ambiente della Juventus iniziò a sfasciarsi. Nella semifinale di Coppa delle Coppe la squadra ancora per poco di Maifredi fu comunque a un niente dal buttare fuori il Barcellona di Cruijff.

Rimaniamo convinti, qui al bar, che se la Juventus avesse vinto quella partita avrebbe poi conquistato lo scudetto e Maifredi sarebbe magari oggi considerato come Sacchi (esempio della fortuna che gira da un’altra parte) e non piuttosto come un Orrico con qualche occasione in più.

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