Cento anni con Gianni Brera

30 Agosto 2019 di Stefano Olivari

L’8 settembre è anche la data di nascita di Gianni Brera, quindi non solo la data della vergogna nazionale. E siccome il prossimo 8 settembre sarà quello del centenario è prevedibile un diluvio di ricordi personali e di sdottoramenti di gente che Brera lo ha al massimo letto, proprio come noi che lo abbiamo qualche volta incrociato in tribuna stampa senza mai trovare il coraggio di rivolgergli la parola: cosa potevamo dire di interessante a Brera?

Per questo abbiamo trovato interessante lo speciale che al più grande giornalista sportivo italiano di sempre (possibili ex aequo con Aldo Giordani, anche lui morto nel maledetto 1992, e Rino Tommasi: generi comunque diversissimi) ha dedicato il Venerdì di Repubblica, il magazine del quotidiano in cui Brera ha lavorato dal 1982, convinto da Scalfari e Sconcerti pochi mesi prima del Mundial ad abbandonare il Giornale, fino alla tragica fine.

Un Brera raccontato attraverso i suoi diari, di cui non sapevamo l’esistenza, conservati alla Fondazione Mondadori, ma anche attraverso una bella intervista a Gianni Mura. Che forse il suo erede (negli anni glielo hanno ripetuto fino alla noia) lo è stato davvero, ma in senso stilistico e culturale. La vis polemica di Brera rimane invece irraggiungibile.

Stupendo il racconto del loro primo incontro, con Brera che invitò il giovane Mura a raccogliere uova in un pollaio, ma interessanti anche le parti critiche (se no che erede di Brera sarebbe?), in cui si capisce chiaramente perché oggi un Brera sarebbe impossibile: il politicamente scorretto, quasi troppo scorretto anche per i suoi tempi, una devozione al Nord Italia che oggi imbarazzerebbe anche la Lega, la personalizzazione di tante battaglie ideologiche riferite al calcio. Brera era tifoso interista, ma aveva il vezzo di definirsi genoano. Era supertifoso di un tipo di italianità che purtroppo esiste in poche zone e in poche situazioni, nel calcio rappresentata da Gigi Riva.

Da gigante, temuto per quello che scriveva e diceva e non perché fosse un uomo di potere (anzi, dopo varie giravolte aveva trovato la sua dimensione di socialista anarchico, in fuga da qualsiasi direzione gli venisse proposta), la sua debolezza era la stessa di giornalisti, non solo sportivi, di livello infimo: la letteratura. I romanzi di Brera si leggono bene, soprattutto se si entra nel mood padano, ma scompaiono di fronte alle raccolte di articoli, in particolare lo storico Arcimatto del Guerin Sportivo, e ai libri sportivi come La storia critica del calcio italiano e soprattutto Coppi e il diavolo (con la fattiva collaborazione di Mario Fossati)

Abbastanza efficace in televisione, soprattutto in un contesto di amici (la sua intervista triestina a Nereo Rocco è commovente, obbligatorio guardarla su Rai Play), era totalmente fuori ruolo al Processo del Lunedì dove andava, come ha raccontato Mura, unicamente per soldi. Solo che lui lo diceva, con sincerità e amarezza: il giornalismo aveva consentito una vita agiata a uno partito senza soldi come lui, ma le vere ambizioni di una persona di cultura dovrebbero essere altre (forse non ci credeva nemmeno lui, però). Siamo cresciuti leggendolo, non siamo quindi obbiettivi: però pensiamo davvero che uno così non nascerà nemmeno fra cent’anni.

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