Atlantia e Benetton, un anno dopo il Ponte Morandi e 20 dopo D’Alema

14 Agosto 2019 di Indiscreto

Che fine hanno fatto Atlantia e i Benetton a 365 giorni esatti dalla tragedia del Ponte Morandi? Come nei giorni seguenti al disastro, anche in questi di commemorazioni sono un po’ scomparsi dai grandi media i responsabili della manutenzione del ponte. Ma stavolta non diamo la colpa ai giornalisti, perché sono soprattutto i politici di Lega e Cinque Stelle ad avere cambiato registro, fra Alitalia e altre partite.

Qualche numero, fra quelli di dominio pubblico. I familiari dei 43 morti e di altre vittime hanno avuto finora da Atlantia come risarcimento circa 37 milioni di euro e alla fine di tutto non dovrebbero prenderne molti di più. Per la società una situazione neutra, essendo tutto coperto da assicurazioni.

Decisamente più pesante la demolizione e la ricostruzione del ponte, i cui costi non sono prevedibili con precisione: abbiamo letto dai 500 ai 700 milioni di euro, non siamo ingegneri e non ci sbilanciamo. Però è certo che nel primo semestre del 2019 il gruppo abbia generato un utile di 777 milioni: in sostanza sono bastati sei mesi di attività per andare in pari. Un’attività i cui ricavi sono basati per più del 50% sui ricavi da pedaggi autostradali, quindi si puà dire che tutti i soldi siano rimasti nel sistema. Un’attività che nel frattempo si è integrata con quella, più o meno simile, della spagnola Abertis, di cui si è preso il controllo qualche settimana dopo il 14 agosto 2018.

E il valore delle azioni Atlantia? Mentre stiamo scrivendo queste righe è di 23,40 euro, contro i 23,50 del giorno prima della tragedia: insomma, come se niente fosse successo. Noi medi lettori della Gazzetta sul bancone della Sammontana a questo punto potremmo farci una domanda: al di là dei risarcimenti, non avrebbero dovuto revocargli le concessioni? Nessuno più ne parla, la sola data di scadenza (2042, la maggior parte di noi per l’epoca sarà morta) fa paura sia nel caso si sbattano fuori i Benetton, per i contenziosi legali da decine di miliardi, sia nel caso si mantenga la concessione.

Seconda domanda di noi che ci entusiasmiamo per Lukaku che mangia insalata e per le strategie di Paratici: ma chi cazzo ha firmato questo contratto capestro? La storia è nota, ma è sempre bello ricordarla. Nel 1999, in pieno governo D’Alema, la società Autostrade viene privatizzata, con i Benetton che da subito ne diventano il socio di maggioranza relativa con una delle loro holding.

Una società che eredità le convenzioni del passato, fra cui quella con l’Anas per la gestione delle autostrade fino al 2038. Già in questa operazione, in pieno governo D’Alema, c’è tutta la filosofia delle privatizzazioni all’italiana: una specie di svendita di gioielli pubblici ad imprenditori non ostili, per giocare a fare i Blair della mutua.

Nel 2003, con i Benetton in controllo quasi totale, nasce Autostrade per l’Italia (dal 2007 Atlantia), che a sua volta eredita la convenzione. Che viene ridiscussa nelle modalità, ma certo non nei tempi: nel 2008, secondo governo Prodi, viene addirittura allungata fino al 2042 pochi giorni prima delle elezioni che riporteranno al governo Berlusconi. Sarà sotto Berlusconi che questo decreto sarà convertito in legge, con un emendamento che addirittura riduce gli obblighi del concessionario, quindi dei Benetton, con voto favorevole di Forza Italia e Lega, contro quello del PD, forse consapevole del super-regalo già fatto a suo tempo.

Conclusione? Negli ultimi vent’anni la politica ha fatto tanti errori, più o meno in buona fede, ma la madre di tutti i disastri (non direttamente del crollo del ponte, ma di mancati incassi per lo Stato sì) è stata quella privatizzazione dalemiana. Speriamo che qualche giurista trovi la maniera di venirne fuori, ammesso che ci sia la volontà politica di farlo.

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