Stranger Things 3, la vittoria dell’amicizia

30 Luglio 2019 di Stefano Olivari

Poche serie ci hanno tenuto inchiodati davanti allo schermo come Stranger Things, di cui abbiamo appena terminato di vedere su Netflix la terza stagione. I fratelli Duffer hanno creato una macchina furba e perfetta, che mescola tanti generi ed omaggia (traduzione: copia) in maniera sfacciata lo Spielberg per adolescenti, cioè lo Spielberg migliore.

Come nelle precedenti due stagioni l’azione di Strangers Things 3 si svolge ad Hawkins, Indiana, in quella provincia americana che può scatenare la creatività di ragazzi pieni di interessi e con tanto tempo libero. Insomma, i ragazzi degli anni Ottanta. Siamo infatti a luglio del 1985, citazioni di Stand by me e dei Goonies come piovessero.

Ma gli ingredienti principali di Stranger Things 3 sono secondo noi alcuni prodotti culturali di quattro diversi decenni: i B-movie anni Cinquanta, a base di mostri esagerati, l’attrazione anni Sessanta per l’ignoto (non solo lo spazio) e la scienza applicata, l’ossessione anni Settanta per i sovietici cattivi, la guerra fredda e imprecisabili armi segrete in loro possesso, la cultura pop anni Ottanta e gli schemi dei suoi fantastici teen movie ma anche dei suoi film di azione (la lotta in mezzo al laboratorio o fabbrica è un must). Chiaramente il decennio prevalente sono gli Ottanta, per l’ambientazione, la musica (nel momento di massima tensione Dustin e la sua fidanzata virtuale si mettono a cantare Never ending story di Limahl) e i riferimenti, ma anche degli altri si coglie il senso.

I protagonisti sono tanti, Stranger Things in questo si distacca da tante serie con qualche uomo (o donna) solo al comando, anche se l’interpretazione di Wynona Rider, nella serie Joyce Byers, madre separata di un nerd e di un bambino posseduto (ora non più) dai mostri nascosti nel sottosuolo (sottosopra, per l’esattezza) di Hawkins, è straordinaria. Ma sullo stesso piano sono Jim Hopper (il poliziotto interpretato da David Harbour), Undici, una ragazzina in passato oggetto di esperimenti e con poteri paranormali, i quattro giovani amici Will, Dustin (il nostro preferito), Lucas e Mike, l’aspirante giornalista Nancy (sorella maggiore di Mike), Max, Jonathan (fratello maggiore di Will, entrambe figli di Joyce), Steve, Billy (fratellastro di Max), Robin, Erica (sorella di Lucas), Karen (madre di Nancy e e Mike, con un marito meravigliosamente scazzato), Brett, Grigori…

Protagonista è anche l’inesistente Hawkins, mentre l’unico vero riferimento all’Indiana è il fatto che le poche scene sportive riguardino la pallacanestro. Hawkins è la provincia che c’è in tutti noi, ma non una provincia gretta: è solidale, vera, non opprimente (chissà perché nelle fiction la provincia deve essere sempre opprimente), americana. In più punti gli autori scherzano con il patriottismo, con i ‘buoni’ che potrebbero essere indifferentemente democratici o repubblicani.

Davvero quasi tutti hanno il loro quarto d’ora di gloria, in cui Stranger Things sembra svoltare grazie a loro e alle loro intuizioni. L’abilità dei Duffer è in fondo questa: tutti utili, nessuno indispensabile (e infatti qualcuno muore o scompare). La serie potrebbe proseguire all’infinito anche perdendo parte del cast.

Genio puro quella di mettere al centro dell’azione il centro commerciale Starcourt, che ammazza le piccole attività commerciali ma dove tutti vanno. I mall fanno anni Ottanta soprattutto negli USA, visto che da noi non c’erano, ma sono chiari i riferimenti all’attualità. Nel mall ci sono anche i sovietici, che lì sotto a Starcourt hanno costruito una loro base segreta, per dominare le presenze misteriose di Hawkins e canalizzarle contro gli americani.

C’è il livello di visione dei dodicenni, ed infatti Stranger Things piace molto ai giovanissimi con tante scene di paura vera, ma il gioco delle citazioni (sono infinite: da E.T. a Jurassic Park, da Indiana Jones a Cujo, passando per mille altre e quella telefonatissima di Incontri ravvicinati del terzo tipo) ed un certo spirito puro, da romanzo di formazione, commuovono sempre.

C’è addirittura anche il messaggio, evidente anche nelle prime due stagioni: nessuno si può salvare da solo, tutti hanno qualcosa da dare e da dire. Per questo in Strangers Things e nella vita l’amicizia è più solida dell’amore e più dell’amore può salvare la Terra.

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