Luciano De Crescenzo, filosofia del presente
18 Luglio 2019
di Stefano Olivari
Luciano De Crescenzo è morto, mediaticamente sfortunato a lasciare questa terra il giorno dopo Camilleri. Il successo che ha conosciuto come scrittore è stato però paragonabile a quello dell’autore di Montalbano, anche perché è avvenuto nel secondo tempo della sua esistenza, lanciato da Così parlo Bellavista.
Dopo quel successo del 1977, diventato enorme dopo un’apparizione a Bontà Loro (quella sera intervistata da Maurizio Costanzo pre lista di Gelli c’era anche una Ursula Andress che turbò molti) e la partecipazione a Mille e una luce (esempio di televisione interattiva, con il pubblico da casa che votava accendendo o spegnendo le luci), De Crescenzo cavalcò il filone del libro umoristico che negli anni Settanta funzionava molto bene e poi letteralmente inventò il suo, di genere, quello della filosofia classica spiegata attraverso la vita.
Non era un divulgatore in senso stretto, di fare il Bignami alla partenopea non gli interessava, ma è sempre lo stesso stato considerato un divulgatore e alla fine tutti i suoi libri si assomigliavano, però ha avuto il merito trovare una sintesi fra la Napoli macchiettistica e quella moderna, con una scrittura da ingegnere quale era, davvero facile da seguire (nostro libro preferito, fra la decina letti, quello sui Presocraticì. Lui a fare Socrate poi un po’ avrebbe giocato, ma del resto come per quasi tutti gli scrittori, soprattutto quelli schivi (e non era il suo caso), la creazione del proprio personaggio è fondamentale.
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