Cosa è rimasto di Marchionne

25 Luglio 2019 di Stefano Olivari

È passato un anno dalla morte ufficiale di Sergio Marchionne, avvenuta probabilmente qualche giorno prima, e i ricordi del grande manager canadese-italiano (ci viene da dire istriano, visto il suo coinvolgimento familiare in questa pagina vergognosa della nostra storia) si sprecano, così come la pubblicistica sul suo conto. Ma cosa è davvero rimasto di un uomo che per 15 anni è stato uno dei dirigenti più importanti del mondo?

Marchionne, una delle ultime scelte forti di Umberto Agnelli, è stato senza mezzi termini l’uomo che ha conservato agli Agnelli il controllo della FIAT e di quello che è nato dopo. Un gruppo che dopo l’era Morchio stava quasi fallendo e che lui rilanciò non con prodotti innovativi (non era un uomo di prodotto, ma di finanza) ma valorizzando in versione semi-rinnovata auto storiche come Punto e Cinquecento.

Lucida era stata l’accettazione del declino irreversibile del mercato dell’auto e quindi della necessità di fusioni e integrazioni internazionali. Inutile ricordare la vicenda Chrysler del 2009, quando Marchionne alla guida di un gruppo indebitato riuscì a farsi dare da Obama la storica azienda, controllandola all’inizio con il 20% e facendo alla fine il bene di tutti (tranne che degli operai italiani, in prospettiva) e iniziando il processo di internazionalizzazione del gruppo arrivato fino ai giorni nostri e non ancora terminato. Renault o non Renault.

Anche per Chrysler Marchionne adottò una politica di valorizzazione dei marchi, sua giusta fissazione (infatti aveva sempre in testa il rilancio dell’Alfa Romeo) e pur senza inventare niente la riportò all’utile. Inutile ricordare la quotazione Ferrari e altri colpi finanziari da maestro, sempre con un disegno di fondo, quello di costruire il primo gruppo automobilistico mondiale (con la General Motors, nei sogni) o in alternativa di uscire completamente dall’auto. Sicuramente non rimanere a metà del guado. Questo non significa che abbia sempre effettuato scelte industriali giuste e il ritardo clamoroso di FCA nell’auto elettrica lo dimostra.

Ma dal nostro punto di vista Marchionne è stato soprattutto una grande occasione persa per la politica italiana, quel leader che il centro-destra avrebbe potuto schierare sparigliando le carte, mettendo nell’angolo sia populismo di destra sia la sinistra blairiana de’ noartri (che pure lo corteggiò in maniera grottesca), ma soprattutto superando il berlusconismo. Sulla sua volontà di entrare in politica ci sono testimonianze contrastanti, di sicuro sarebbe stato credibile pur essendo, a suo modo, uno fuori dal giro. Uno con una popolarità naturale, non da piacione ma da italiano anti-italiano.

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