Borrelli da Tangentopoli a Calciopoli

21 Luglio 2019 di Stefano Olivari

La morte di Francesco Saverio Borrelli ha ispirato tante rievocazioni di Tangentopoli in chiave diversa, dalla santità al colpo di Stato, ma noi che pensiamo soltanto ai click, indegni eredi dell’Indiscreto di una volta, vorremmo utilizzare la scomparsa del grande magistrato per rievocare una parte di Calciopoli mai realmente analizzata, quella in cui si tentò di dare all’ufficio indagini una funzione di prevenzione.

Sì, perché nel maggio del 2006 un Borrelli settantaseienne, già in pensione dal 2002, fu messo a capo dell’Ufficio Indagini di una FIGC il cui commissario era Guido Rossi. Borrelli era del tutto digiuno di calcio, anche soltanto da tifoso, e non ne aveva mai nemmeno visto una partita: i cronisti di giudiziaria si inventarono che si era entusiasmato per Italia-Germania Ovest 4 a 3, ma nessuno ci credette.

Niente di male, non è che per indagare su un traffico di droga devi essere stato uno spacciatore, ma è è solo per dire che Borrelli non aveva idea di passare da una situazione di consenso popolare diffuso ad una ben più divisiva ed insidiosa, in cui ogni atto sarebbe stato spiegato in chiave tifosa pro o contro. Suoi principali antipatizzanti furono Berlusconi e soprattutto Galliani, per il suo parlare di ‘Sistema Milan’, anche se è chiaro che l’antipatia nasceva da altre indagini, quelle dei tempi del ‘vero’ Borrelli. Che all’inizio la grancassa Mediaset (ancora Fininvest) aveva incredibilmente sostenuto, nonostante il legame fra Berlusconi e Craxi.

I paragoni fra Tangentopoli e Calciopoli si sprecarono, è proprio il caso di dirlo. Ci è rimasto impresso quello di Fabio Capello, ancora allenatore della Juventus, che in un’intervista alla Gazzetta paragonò la Juventus al Partito Socialista e Moggi a Craxi. Ma Craxi era l’uomo che i poteri forti li aveva sfidati, venendo poi travolto dalle malefatte anche sue e dei suoi compagni di partito, mentre Moggi i poteri forti li aveva sempre serviti e rispettati, ritagliandosi la sua parte.

Ma tornando al Borrelli dell’Ufficio Indagini, bisogna dire che il suo ruolo nella Calciopoli propriamente detta fu marginale: quando arrivò in FIGC tutto il materiale era già stato acquisito e le sentenze le avrebbero emesse altri. Nella testa di Rossi, e poi di Pancalli, Borrelli avrebbe dovuto riorganizzare l’Ufficio Indagini su basi nuove, con persone che si attivassero ben prima del presunto reato. Una funzione preventiva, di ammonimento, per non dire di minaccia: una funzione nello sport ancora più necessaria, visto che vive soprattutto nel presente e la modifica degli albi d’oro interessa i musei.

Idea boicottata, chissà come mai, da quasi tutti i club, che videro di buon occhio la sua uscita di scena nel giugno 2007, visto che la Superprocura aveva unificato le funzioni della procura federale, quindi di Palazzi, e dell’Ufficio Indagini. Borrelli divenne membro di una oscura commissione di garanzia della FIGC e scomparve gradualmente dalla scena, intervenendo però volentieri su vari temi sportivi. In un certo senso il calcio lo aveva conquistato, anche se lui sul calcio incise pochissimo.

Senza il sostegno dei media, quasi tutti controllati dagli indagati, e della popolazione, con il milanista che si identificava in Galliani ben più di quanto il socialista facesse con Craxi, non si fa tanta strada. E nel calcio infatti Borrelli non ne ha fatta. Il calcio non accetta consigli da personaggi esterni al sistema, e la magistratura non ha dimostrato di essere tanto meglio. Le cosiddette autoriforme non possono esistere.

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