La strada di Messina

11 Giugno 2019 di Oscar Eleni

Oscar Eleni alla ricerca della vespa samurai che distrugge cavallette e cimici. Il basket, questo nostro orticello, ne avrebbe bisogno adesso che la federazione se la prende con la Virtus per il matrimonio morganatico con l’ULEB tradendo la FIBA: chi tradisce cosa? Oggi che dobbiamo valutare gara uno scudetto in quella sauna del Taliercio…

Con i poveri arbitri prigionieri di piccoli monitor anche se sul campo RAI ed Eurosport hanno di tutto e di più per aiutarli. In questo momento speciale dove ti senti tirare le orecchie dal professor Carlà perché nella festa Under di Milano, dentro l’arca del basket, ci hanno detto che Cosimo Costi, uno dei premiati, campione per Tonolli  e l’Honey Sport City di Roma, è senese. Falso. Nato nelle parrocchie del basket fiorentino che per fortuna resiste a tutto, anche se i semi di due finali della Coppa Italia non germogliano fra gli imprenditori locali.

Vespa samurai per trovare il ragno che si è inventato questo filo invisibile dove si sono aggrappati un po’ tutti: i Golden State Warriors anche riperdendo Durant, l’Armani anche dovendo pagare Pianigiani per  stare in contrada adesso che Messina ha camminato sulle stesse strade eleganti del Conte che all’Inter stava esautorando un altro dei grandi toscani, la Dinamo Sassari che non ha saputo cambiare abito quando doveva, trasformandosi da Peter Pan in chi deve andare a caccia con i lupi.

Come promesso vengo a disturbare le signorie vostre dopo gara uno per lo scudetto nei nostri sottoscala chiamati palazzi dello sport, d’altronde ci sono anche molti giornali che lo sport lo hanno davvero tradito ma continuano a  sbandierarlo nelle loro testate. Prima però lasciateci respirare il mugolio di una notizia che commuove: sabato a Milano, al Bootleg di via Salutati, il magnifico Charlie Yelverton, ribelle vero, cacciato dagli USA, suonerà il sax, come nei viaggi della vera Ignis, tollerato anche da chi voleva soltanto dormire perché quella era squadra, per Chuck Jura che torna in città  dagli amici dell’Altra Milano che lo consideravano giustamente il loro idolo contro lo strapotere dell’Olimpia di Bogos e Rubini.

Dalle 19 tutti insieme, meditando anche  su questo possibile ingaggio di Messina da parte di re Giorgio. Sarebbe la seconda volta che Bologna presterebbe una delle sue eccellenze, be’ sì, siciliano, be’ sì, cresciuto col Paron Zorzi a Venezia e Mestre, ma il suo vero regno fu la Virtus prima del CSKA, prima di  San Antonio, anche prima delle esperienze agrodolci con la Nazionale. In passato fu Porelli che, pur amando battere Bogoncelli a bridge in trasferta nella sua villa di Rapallo, dopo lo scudetto petersoniano decise che senza Milano al vertice il basket sarebbe stato poca cosa. Abbracci e baci con l’uomo di Evanston e biglietto per andare a Parigi a discutere il nuovo contratto. Un po’ come Messina oggi visto in Montenapoleone con il suo agente Crespo. Impossibile nascondersi, anche se questo non vuol dire che accetterà, ma di sicuro ci dice che Pianigiani non è più  protetto come ai tempi in cui le mosche cocchiere lo trattavano da sommo merliniano.

Andiamo alla finale, contrastando con i voti del Tosi benedetto che ha lavorato così bene col diretur per  portare Yelverton e il suo sax alla festa di Jura. Partita da fremebondi. Inizio con palla di lardo sbattuta da ogni parte meno che nel canestro. Caldo, tensioni scudetto, solito vergognoso ghetto per tifosi ospiti, cara Lega che vergogna. Sassari aveva in mano Venezia, sul più 13 si è mangiata goffamente due canestri da sotto, Cooley, Pierre. Bravo De Raffaele a cercare la vera anima di questa sua squadra vagotonica, puntando sulla difesa mentre il Poz non capiva che era ora di cambiare abito nell’arena. Quando Cerella e la difesa orogranata hanno fatto traballare i ponti di collegamento della brigata Sardara si doveva usare il machete e non il fioretto. Sostanza, non ricerche personali come quelle di Thomas e del Pierre, fantastico con Brindisi e Milano, così spento al Taliercio, per non parlare di Cooley. Erosione delle certezze, nessun coniglio tirato fuori dal cilindro dei tre italiani che hanno giocato come sanno, senza infamia, ma anche senza lode.

Pure Venezia aveva i suoi guai, ma, all’improvviso dopo Tonut, dopo Watt, ecco rinascere Haynes stuzzicato forse dai paragoni con l’ex McGee che vinse il titolo con Deraf. Vidmar e la sua fronte sanguinante al fronte, il colpo dell’espada di Stone a zero in attacco fino a quell’attimo fuggente, lo stesso che ha ispirato Daye per il tiro da 3 a fine terzo quarto, il medesimo non compreso dal Poz quando si è preso un tecnico mentre gli sbattevano Spissu fuori dalle righe. Attimi. Potrebbero aver deciso una storia scudetto, anche se l’idea è che si possa arrivare alla settima. Giusto che il Poz difenda la Sassari arrivata a più 13, giusto che De Raffaele guardi dentro il regalo per vedere se ci sono troppe vespe samurai.

Le pagelle in disaccordo:

VENEZIA: Haynes 6,5, Bramos 6, Mazzola 6, Watt 6,5, Daye 5,5, De Nicolao 5,5, Tonut 6, Cerella 7.

SASSARI: McGee 6,5, Smith 4, Carter 6, Pierre 4,5, Thomas 4, Cooley 5,5, Spissu 5,5, Gentile 6, Polonara 6.

Tanta differenza per una partita finita con 2 punti di scarto? Be’, a parte la micragna delle due sui tiri liberi,  non puoi trattare bene chi ha sporcato un bel tema da più 13, chi ha  dato davvero un calcio al secchio.

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