In estate fa caldo

27 Giugno 2019 di Stefano Olivari

Gran parte d’Italia sta vivendo con temperature sopra i 30 gradi, ma in teoria soltanto i contadini e i muratori avrebbero qualche motivo per lamentarsi. Invece siamo circondati da gente che, in mancanza di argomenti migliori (Lukaku, Veretout, Buffon, eccetera), sembra sul punto di morire e discute del caldo con la stessa competenza di Greta.

Ma al di là della tristezza delle nostre vite e delle conversazioni da ascensore, bisogna dire che il dibattito sul clima sta producendo posizioni diverse fra gli scienziati e non solo fra noi del bar. Tutti i partiti concordano però almeno sul punto di partenza, cioè che negli ultimi 150 anni la temperature medie si siano alzate di circa un grado.

In altre parole, un italiano fresco di Unità d’Italia viveva in un pianeta di un grado più freddo, senza stare a sottilizzare su rilevazioni effettuate in maniera diversa fra l’Inghilterra e il Burundi (che comunque era una colonia tedesca) di fine Ottocento. Le domande sono altre, anche per chi non è uno scienziato e addirittura cambia canale quando c’è Quark: questo grado di differenza è tanto, è poco, è un aumento irreversibile, quale percentuale di cause dipendenti dagli esseri umani ha?

Le risposte agli scienziati, che infatti sono divisi su cause (la stima dell’impatto delle emissioni di anidride carbonica su tutte), serie storiche (i climi caldi del Medio Evo sono difficilmente quantificabili) e prospettive. Mentre il giornalista collettivo di solito prende per oro colato le relazioni dell’IPCC, l’ente creato dall’ONU che per giustificare la sua esistenza ha bisogno di un allarmismo costante. Nessuno assumerebbe guardie giurate se non ci fossero i ladri (o meglio, la percezione dell’aumento della criminalità). Di sicuro il riscaldamento globale è un’idea entrata nel senso comune, anche di chi fino a poche settimane fa si lamentava del freddo. Ma è un’idea tutta politica, di chi mitizza un passato felice per governare le menti nel presente.

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