Eurovision Song Contest 2019, Mahmood chiama l’Europa

14 Maggio 2019 di Paolo Morati

È iniziata da qualche giorno l’avventura di Mahmood all’Eurovision Song Contest, che quest’anno si tiene a Tel Aviv, in Israele (stasera la prima semifinale, giovedì la seconda, sabato la grand final). In gara con una versione leggermente più breve di Soldi, il brano con cui ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo, il nostro rappresentante è ben posizionato dai bookmaker anche se non come solo qualche settimana fa.

Dopo le prime prove, e mentre scriviamo, viene superato da una pattuglia di contestant, in primis dall’Olanda (favoritissima, dopo essere andata vicinissima alla vittoria già nel 2014) con una ballata intitolata Arcade e portata sul palco da Duncan Laurence. Niente di straordinario, vocalità negli standard odierni (una via di mezzo tra Marco Mengoni e Ed Sheeran), nessun sussulto particolare ma la chiara volontà di star fuori dalle logiche più scenografiche della manifestazione.

Immancabile tra i favoriti anche la Svezia, la nazione che probabilmente ‘sente’ di più l’ESC come evento fondamentale della propria annata. E che questa volta si presenta con un brano ritmato, da ballare ma senza particolari guizzi di genio. Too Late For Love di John Lundvi è ben costruito e cantato ma non stupisce, pure nella sua consueta perfezione. E buone sensazioni raccoglie alla vigilia la Russia, anche lei in quota ballad con Sergey Lazarev (già terzo nel 2016) e l’epica Scream. Forte del probabile supporto del blocco dell’Est avrà forse parecchi voti ma anche nel suo caso non ci trasmette neppure lui granché.

Sorprese potrebbero arrivare poi dalla Francia, con la enfatica Roi del diciannovenne platinato Bilal Hassani, e da Malta, che nemmeno quando aveva insieme al Regno Unito la marcia in più dell’inglese è mai riuscita a vincere. E che cerca di uscire più internazionale con Chameleon di Michela, tutto però di nuovo troppo mainstream e scontato. Mai come quest’anno, insomma, è difficile fare un vero pronostico non scorgendo almeno tra le favorite una vera canzone capace di emergere dal gruppone, con il problema che in gran parte tutto sembra già sentito e pericolosamente privo di personalità. Al di là di act fuori dagli schemi tradizionali come quello islandese, le scenografie ardite come quella australiana, o performance teatrali come la proposta portoghese. Opinioni comunque da verificare con le prime esibizioni ufficiali.

In tutto questo Soldi di Mahmood era piaciuta subito nella sua versione in studio, ed è certamente una canzone diversa nel suo incedere, senza tuttavia una vera esca ‘catchy’. Tutto dipenderà dallo staging finale, già molto migliorato (si racconta) nella seconda prova, con i tre ballerini che lo accompagnano e le animazioni a schermo, e soprattutto dalle scelte delle giurie che come accaduto anche a Sanremo (in effetti a suo favore quest’anno, con la ben nota coda di polemiche) sono capaci in Europa di ribaltare le decisioni del televoto (vedi cosa successo ai ragazzi de Il Volo nel 2015, che avevano sostanzialmente trionfato per poi finire terzi). Ad ogni modo meglio non vincere che snaturare il senso della canzone, con sorrisetti e ammiccamenti da circo. Quindi avanti così.

L’Eurovision Song Contest si conferma in definitiva un puzzle difficile da comporre. Contano tanti fattori oltre alle canzoni, comprese le vicinanze geografiche, le simpatie tra popoli, le diverse diaspore, la capacità di comunicare un effettivo desiderio di trionfare, e la convinzione del progetto portato. Tutto legato poi alla professionalità della presentazione generale, essendo uno spettacolo preciso come un orologio. Ultima nota: dovendo scegliere, a noi piacerebbe una buona posizione per la canzone di San Marino, portata dal turco Serhat. Say na na na… poche speranze di farcela, ma allegra e spensierata il giusto per non cadere nella depressione del quotidiano.

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